Pelli sostenibili per l’alta moda

Tra le piccole e medie imprese italiane, sono molte le eccellenze che sono riuscite a crescere non solo nel mercato nazionale, ma anche all’estero, e che hanno portato lustro al marchio Made in Italy. La capacità di mantenere un vantaggio competitivo è stata possibile anche grazie all’innovazione che queste aziende hanno saputo apportare alla loro attività produttiva e che ha permesso loro di diventare protagoniste, sapendo cogliere le molteplici sfide economiche, sociali e ambientali. È il caso di Italconcia 1973, azienda conciaria che ha saputo cambiare il proprio modello di business e abbracciare con forza, così facendo, una delle sfide più importanti del nostro tempo: la salvaguardia dell’ambiente. A parlarne è Andrea Martini, general manager della società. 

Qual è la storia di Italconcia?

«Italconcia è una delle realtà storiche del distretto conciario toscano di Santa Croce, tra i più noti in Italia, ed è un attore protagonista della trasformazione sostenibile, contraddistinta da consapevolezza e sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali. L’azienda nasce dall’idea di Pietro Martini, mio nonno, giovane apprendista che nel 1953 immaginò di creare una realtà produttiva di alta qualità e iniziò a farlo aprendo la sua bottega artigianale. La società, nella forma attuale, fu invece fondata nel 1973 da mio padre, che trasformò l’attività del nonno in un progetto industriale. Oggi Italconcia è una protagonista del mercato nella lavorazione della pelle, con un’attenzione particolare al controllo della qualità, al sapere artigiano e alla ricerca della perfezione, senza dimenticare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Realizziamo pelli per pelletteria e calzature destinate alle principali case di moda, legate, sia a grandi marchi, sia a stilisti emergenti. Io sono entrato in azienda dopo gli studi e lì ho lavorato tra i bottali, le macchine per le rifiniture, sempre accanto a mio padre, e osservando con attenzione tutti i passaggi produttivi. Negli ultimi anni mi sono impegnato a dare una forte spinta innovativa all’azienda, creando i presupposti per posizionarla in un ambito produttivo nuovo e producendo pellami con concia vegetale bio based al 97%».

Qual è il modello di business dell’azienda?

«Noi siamo un’impresa di famiglia, fortemente specializzata nella lavorazione della pelle di vitello. L’industria conciaria italiana è tra le eccellenze manifatturiere più apprezzate al mondo e rappresenta il 17% del fatturato globale (fonte Unic). La concia è un’antichissima arte, nata nella preistoria e divenuta mestiere nel medioevo, che mira a rendere la pelle e il cuoio prodotti gradevoli al tatto e alla vista, versatili per l’uso quotidiano e durevoli nel tempo. Con il passare degli anni, questo mestiere si è fatto spazio tra la moda e la tecnologia, giungendo a risultati strepitosi che permettono al settore del cuoio e delle pelli Made in Italy di essere visto in ambito mondiale come un’eccellenza, spesso legata al segmento del lusso. È proprio questo il target clienti di Italconcia, scelto grazie alla capacità di sviluppare prodotti customizzati, stando a stretto contatto con gli uffici stile dei brand più famosi, dando vita a progetti che nascono da un’idea creativa e si trasformano in oggetti preziosi».

Come si è trasformato negli anni il processo di concia?

«Non esiste un processo unico per la concia delle pelli: esso, infatti, dipende da moltissimi fattori, primo fra tutti il risultato finale che si vuole raggiungere, che cambia se si decide di lasciare il pelo, se si vuole ottenere una pelle conciata al vegetale oppure al cromo. Per i motivi appena elencati, il processo di concia delle pelli si divide in tre fondamentali macrocategorie: la lavorazione di riviera, la concia e la rifinizione. La tecnologia ha certamente migliorato le condizioni di lavoro, mentre l’innovazione dei processi produttivi ha consentito, da un lato di standardizzare qualitativamente la concia delle pelli, dall’altro di sviluppare nuovi progetti come quello della concia vegetale».

C’è stato un cambiamento del mercato o della clientela di riferimento?

«Le tematiche legate alla sostenibilità hanno fatto emergere con molta forza l’attenzione verso prodotti a basso impatto ambientale. La ricerca di nuovi materiali è diventata una sfida per i player del mercato del lusso e della moda in generale, sempre più oggetto di pressione da parte degli stessi consumatori per diminuire l’impatto inquinante del settore. Per quanto riguarda invece il mercato, c‘è stato, o meglio, è in essere, un processo di standardizzazione qualitativa dei processi. La necessità di adeguamento alle norme previste dal Green Deal Europeo 2040 ha attivato nelle aziende un maggiore controllo dei reflui e un’attenzione al risparmio di acqua, all’uso di energie rinnovabili, all’eliminazione di sostanze derivanti dal petrolio. Per noi è stata una grande sfida: siamo una piccola realtà, ma la consapevolezza di dovere modificare le nostre modalità di concia, scegliendo di utilizzare i tannini, elementi già presenti in natura, ha guidato i nostri passi.

Abbiamo sperimentato per tre anni ricette differenti, coadiuvati da diversi istituti di ricerca indipendenti, con l’impegno di un team motivato a fare la differenza. Solo quando tutti i test sono risultati veramente validi e certificabili, abbiamo presentato il nuovo prodotto al mercato: BioBasedLeather® (Bbl), un pellame costituito per il 97% da materia organica proveniente da fonti rinnovabili. Il progetto Bbl anticipa i tempi di adeguamento alle norme previste appunto dal Green Deal Europeo 2040, spingendosi oltre i requisiti di biocompatibilità. Il nostro processo di concia è infatti caratterizzato dall’assenza di sostanze altamente pericolose Crm (cancerogene/retrotossiche/mutagene). L’intero ciclo di vita del prodotto (from-cradle-to-grave) è carbon neutral: il processo produttivo utilizza unicamente energia proveniente da fonti rinnovabili. Il carbon footprint è minimizzato grazie alla tracciabilità e alla forte governance della scatena di approvvigionamento».

 

Bbl è un progetto sviluppato completamente da voi?

«Sì, nasce, come dicevo precedentemente, da una nostra esigenza di differenziare l’offerta, di precorrere i tempi dettati dai regolatori europei, per offrire ai nostri clienti pellami puliti e biodegradabili. Abbiamo iniziato con il togliere ciò che poteva essere eliminato e che aveva a che fare con prodotti chimici, poi abbiamo affinato le ricette di concia introducendo elementi reperibili in natura. Ogni passaggio è stato oggetto di analisi e di test, non solo per la tenuta del colore, ma anche per le performance della pelle, affinché resistenza, morbidezza, flessibilità  venissero mantenute». 

Esistono altri prodotti simili sul mercato?

«Con orgoglio posso affermare che non ci sono attualmente prodotti simili sul mercato. Italconcia è l’unica azienda europea ad avere registrato un marchio, BioBasedLeather®, che rappresenta e sintetizza ciò che ho appena descritto».

Prima ha parlato di governance della filiera, che cosa intende?

«La filiera produttiva è per noi un elemento importante: abbiamo bisogno di avere accanto fornitori di materie prime certificati, dai tannini per la concia ai fornitori stessi delle pelli, che nel nostro caso devono essere tutti collegati ad allevamenti presenti in Europa, in particolare in Francia, in Olanda e in Irlanda. Quando si parla di tracciabilità, serve una responsabilità condivisa, che garantisca il prodotto finito e che rafforzi l’idea originaria della nostra azienda di produrre qualità. Dobbiamo avere partner che fanno attenzione ai consumi di acqua, che usano energie rinnovabili, che abbassano le emissioni di CO2. Solo con un’attenzione di filiera il progetto prende davvero vita e valore. Sono gli attori di questo processo che sono deputati al controllo. Noi certifichiamo che i pellami arrivino da geografie gradite ai clienti, che i fornitori utilizzati abbiano tutti la certificazione Leather Working Group (Lwg) e che i loro consumi di acqua ed energia rispettino le regole che abbiamo dato al progetto. In particolare, la certificazione Lwg è stato per noi un risultato importante e fondamentale per la nostra attività. Lwg è un’organizzazione internazionale, senza fini di lucro, che lavora per migliorare l’impatto ambientale della filiera della pelle attraverso la certificazione di audit. Quest’ultima punta a valutare le prestazioni ambientali e la conformità degli impianti di produzione della pelle. Nello specifico verifica i seguenti aspetti: il consumo di acqua ed energia, la gestione dei rifiuti solidi e degli effluenti, le emissioni in aria e il rumore, la tracciabilità, la salute e la sicurezza, la gestione chimica e le sostanze soggette a restrizioni e conformità e la gestione del cromo VI(CrVI). Spetta invece a Herambiente Spa, nostro partner per il ritiro dei ritagli, omologare il fornitore e analizzare i rifiuti prima di trasferirli all’azienda che li trasforma in biofertilizzante. Tutto è trasparente e tracciabile. Inoltre, posso dire che la nostra ambizione futura è mettere in blockchain tutto il processo».

Si può affermare che avete strutturato il ciclo di produzione di Bbl all’interno di un’ottica d’economia circolare?

«Sì, una volta raggiunto il risultato che volevamo ottenere in termini produttivi, di qualità e di caratteristiche tecniche della pelle, abbiamo iniziato ad analizzare il tema degli scarti di produzione, che, sembra paradossale, ma sono il vero problema del nostro settore. Una borsa, una volta realizzata, ha una vita media lunga, può entrare a fare parte del sistema di vendita second hand, ma gli scarti produttivi devono essere smaltiti velocemente, dato che hanno un impatto elevato di produzione di CO2. Partendo quindi dai nostri scarti produttivi, composti da piccoli ritagli di pelle e polvere di rasatura, abbiamo dato vita a un processo di economia circolare che abbiamo chiamato BeFuture, grazie alla possibilità di riutilizzare gli scarti che, trasformati in materia prima seconda, rinascono sotto forma di fertilizzante biologico».

Questi processi vengono utilizzati solo da voi?

«Ci siamo chiesti se questa opportunità poteva essere offerta/sfruttata anche dai nostri clienti, che, molto più di una conceria, producono scarti in fase produttiva. Abbiamo così sviluppato un accordo con Herambiente Servizi Industriali, la realtà nata all’interno di Herambiente (Gruppo Hera), leader nazionale nel trattamento, recupero e smaltimento rifiuti. Grazie a questa azienda, possiamo offrire il ritiro degli scarti di produzione su tutto il territorio nazionale e, attraverso una società specializzata, trasformare gli stessi in bio-fertilizzante. La procedura è molto agile, semplice, e prevede la compilazione di un modulo da parte del terzista che produce per un brand, un’omologa rilasciata da parte di Herambiente, la raccolta separata dei ritagli relativi al Bbl e la successiva trasformazione. Il terzista non ha costi di smaltimento degli scarti produttivi, perché vogliamo incentivare l’educazione alla gestione differenziata, e solo inserendo attenzione al processo produttivo è possibile non mescolare i ritagli di produzione. Perché si possa essere sostenibili senza per forza avere costi eccessivi, è necessario effettuare un’attenta analisi e una buona pianificazione per sviluppare filiere responsabili di economia circolare e abbattere anche le emissioni indirette. Stiamo lavorando da gennaio con queste modalità e i nostri clienti stanno apprezzando molto, sia la qualità del pellame Bbl, sia il progetto di recupero e trasformazione degli scarti. Il mio sogno, senza scordare quello di nonno Pietro, è trasformare negli anni tutta la produzione in concia vegetale, per ridurre l’impatto ambientale e contribuire a lasciare ai nostri figli un mondo più pulito».

Quali sono le politiche di sostenibilità dell’azienda?

 «Noi mettiamo la crescita sostenibile al centro della nostra strategia e, per questa ragione, abbiamo definito un piano di abbattimento delle emissioni. Le nostre azioni e i nostri investimenti hanno come finalità la riduzione della nostra impronta carbonica, sino a raggiungere il target net zero entro il 2040. Per raggiungere la neutralità carbonica, ridurremo le emissioni prodotte nella nostra sede e dalla nostra filiera produttiva, daremo un forte impulso alla produzione di Bio Based Leather, perché crediamo che sia un prodotto innovativo che ha effetti positivi sull’ambiente, sul territorio e sulle persone. Lavoriamo con aziende partner e fornitori per sviluppare nuovi progetti responsabili di economia circolare e abbattere così anche le emissioni indirette.  I fornitori devono essere certificati ai fini dei consumi, perché la filiera produttiva deve avere coerenza con i piani di risparmio energetico».

Pinuccia Parini

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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