Uno tsunami d’argento
La longevità è diventato un tema d’interesse per l’industria del risparmio gestito, soprattutto perché ha un’incidenza su alcuni settori economici in maniera molto più consistente di quanto non si possa immaginare: è la silver economy. Be Private ha chiesto a Fabiano Galli, co-head of key clients presso Axa Investment Managers in Italia, perché siamo di fronte a un trend da non ignorare.
Che cosa vuol dire investire nella longevità?
«La longevità è un tema molto vasto in cui investire, perché l’innalzamento delle aspettative di vita ha diverse ricadute significative sul tessuto economico e finanziario di un paese. Inoltre, riguarda molteplici ambiti, con imprese che sono pronte a cogliere il cambiamento demografico in atto e altre che si devono adattare di conseguenza. In Axa Investment Managers abbiamo individuato sei temi (ageing & lifestyle, social prosperity, automation, connected consumer, biodiversity ed energy transition) riconducibili a tre ambiti principali: la demografia, la sostenibilità ambientale e la tecnologia. La prima è di gran lunga la più importante, perché ha spinto a una maggiore consapevolezza e tutela delle risorse del mondo in cui viviamo e a un cambiamento dei modelli produttivi insieme alle abitudini di consumo, visto che si vive più a lungo. C’è una ricerca del 2016 dell’Università di Berkeley e del Max Planck Institute nella quale si afferma che, nei paesi occidentali, i nati nel 1987 hanno oggi una probabilità di vita media di 97 anni, mentre l’età sale a 99 per coloro che sono in vita dal 1999 e a 103 anni per le persone generate nel 2007».
Come è stata possibile una simile evoluzione?
«In Axa Im studiamo molto da vicino questi aspetti e ci siamo avvalsi anche di pareri di esperti, quali il professore emerito Thomas Kirkwood, decano associato per l’Invecchiamento all’Università di Newcastle. Secondo Kirkwood, “l’aumento della longevità è un trionfo umano. Da quando esistiamo, abbiamo cercato di evitare di morire e siamo migliorati nel farlo. L’allungamento dell’aspettativa di vita nei paesi ad alto reddito del mondo è iniziato circa 200 anni fa e, nel corso degli ultimi due secoli, quest’ultima è incrementata di due o due anni e mezzo per ogni decennio trascorso. Si tratta di un fenomeno straordinario che sta influenzando quasi ogni aspetto della nostra vita, della nostra società e del nostro modo di fare affari. Se si torna indietro di 30 o 40 anni, nessuno si sarebbe aspettato di trovarsi nella situazione attuale. Le attese erano aumentate costantemente, ma fino a quel momento ciò era avvenuto soprattutto grazie alla riduzione dei tassi di mortalità delle persone nei primi e nei secondi anni di vita. Si presumeva implicitamente che ci fosse un limite alla durata dell’esistenza umana, ma ciò che colpisce è che negli ultimi 30 o 40 anni l’aumento dell’aspettativa di vita è stato determinato da qualcosa di completamente nuovo: la riduzione dei tassi di mortalità delle persone già molto anziane. Da ciò si può dedurre che l’invecchiamento non è un dato di fatto nella nostra biologia, come eravamo abituati a pensare, bensì un processo molto più plasmabile di quanto pensassimo e, in un certo senso, stiamo ancora cercando di capire da cosa deriva questa duttilità, fino a che punto possiamo estenderla (…)”».
Quali sono le ricadute sul tessuto economico?
«Gli impatti sono significativi, innanzitutto per quanto riguarda la spesa per consumi. La fascia di popolazione sopra i 65 anni è probabilmente quella che detiene la maggiore quota di ricchezza nelle economie avanzate. Se, ad esempio, si prende in considerazione una statistica pubblicata dall’Ufficio del lavoro degli Usa (2023), si può notare che questa parte della società pesa per il 22% del totale dei consumi in America ed è il cluster che conta maggiormente, seguito da quello tra i 45 anni e i 54 anni che è al 20%. Da ciò si evince il potere, sia economico, sia finanziario, di questi individui. Non è un caso che l’età media degli acquirenti retail di barche da diporto, settore che cresce di oltre il 6% all’anno (2024-2026) a livello globale, è sopra i 50 anni. Un altro dato che assevera la mia considerazione può essere tratto da uno studio del 2017 di Kpmg sulle abitudini degli acquisti online dei consumatori, dove si afferma che le transazioni annuali dei baby boomer sono 15,1 per persona rispetto alle 15 dei millennial, per un ammontare medio d’acquisto per i primi di 203 dollari rispetto a 170 dei secondi. E non escludo che dati più recenti possano rafforzare questa tendenza. Ma le propensioni al consumo rivelano anche gli stili di vita. Quanto il benessere fisico sia diventato importante per le persone più in là con gli anni è una considerazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa. Alcuni dati pubblicati dalla Nike rivelano che nel 2010 negli Usa c’erano 50 milioni di membri di “health club”, mentre nel 2019 erano aumentati a 64 milioni, con una crescita di oltre il 25%; analizzando l’aggregato delle persone, risulta che gli over 55 anni erano 10 milioni nel 2010, aumentati a 14 milioni nove anni dopo: un incremento del 40%».
Però con il passare degli anni aumentano i problemi legati alla salute…
«Secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 il numero di persone oltre 80 anni triplicherà e quasi un quarto o più della popolazione avrà più di 60 anni (in tutte le regioni del mondo, tranne l’Africa). Questo “tsunami d’argento” è innanzitutto il risultato del progresso. Tuttavia, c’è uno svantaggio associato a questo aumento della longevità: il rischio di sconvolgere le vite individuali (quelle degli anziani, delle loro famiglie, di chi li assiste), che si traduce a livello collettivo in un impatto economico, sociale e finanziario sui sistemi sanitari. L’allungamento dell’aspettativa di vita è accompagnato da un aumento del rischio di malattie critiche che persistono a lungo termine. Alcune patologie gravi, un tempo spesso mortali, sono diventate croniche (tumori, ictus, ma anche Alzheimer e Parkinson), grazie ai progressi della medicina e della prevenzione; ciò ha portato alla “cronicizzazione” delle malattie critiche. Ad esempio, non è più raro sopravvivere per molti anni dopo un cancro o un infarto, ma ciò spesso si accompagna a conseguenze che durano tutta la vita. Inoltre, l’invecchiamento aumenta il rischio di soffrire di più patologie contemporaneamente, una situazione chiamata multimorbilità. Queste tendenze legate al prolungamento della vita mettono quindi sotto pressione i percorsi sanitari, l’offerta di assistenza, l’adeguamento delle strutture, il sostegno, l’aiuto alle famiglie, l’equilibrio economico dei sistemi sanitari. Una ricerca americana (Us Centre for Medicare and Medicaid Service-2018), a questo proposito, parla di una spesa sanitaria media nel paese per persone tra i 45 anni e i 65 anni di circa 8.300 dollari annuali, che balza a 37.700 dollari per coloro che hanno un’età superiore».
Ma come si può vivere più a lungo, rimanendo in salute?
«Contribuiscono a questa sfida individuale e collettiva la scienza e l’organizzazione delle cure, che devono ridimensionare e ridistribuire il ruolo del paziente, degli operatori sanitari e di tutti gli attori del sistema sanitario (pubblico, protezione sociale, assicuratori…). I vantaggi della trasversalità e della multidisciplinarietà permettono di creare approcci terapeutici innovativi nel campo delle malattie croniche, in rapida espansione. I percorsi di ricerca sono fondamentali per esplorare ulteriormente la complessità della vita e aprire nuove prospettive di cura. Nelle nostre scelte d’investimento ci concentriamo innanzitutto sulla prevenzione, la biomedicina e la cura delle malattie croniche di lungo termine, come quelle cardiovascolari, il cancro e la demenza senile. Basti pensare ai progressi che si sono fatti nella cura delle artriti con l’istallazione delle protesi all’anca: un intervento che anni fa era molto costoso e richiedeva una lunga degenza e un’impegnativa riabilitazione, oggi è quasi di routine e dopo un paio di giorni il paziente può alzarsi dal letto e stare in piedi sulle proprie gambe. Inoltre, la riproduzione dell’osso da sostituire viene fatta con le stampanti 3D e ciò permette una diminuzione dei rischi di rigetto e una maggiore mobilità dell’arto. Pensiamo, per citare un altro caso, ai farmaci per la cura dell’obesità che aiutano a raggiungere un’età più avanzata in migliori condizioni di salute, prevenendo altre patologie legate a questa malattia (ad esempio Ozempic, nome commerciale della semaglutide sviluppata dall’azienda farmaceutica danese Novo Nordisk)».
Qual è il rapporto tra tecnologia e longevità?
«Ad esempio, al tema della robotica, che si intreccia con la tecnologia e l’intelligenza artificiale. L’invecchiamento della popolazione porta a una riduzione della forza produttiva che deve essere sostituita in altro modo. È abbastanza evidente che più i paesi raggiungono il picco dell’età produttiva, più aumenta la domanda in questo settore. Il Giappone è un chiaro esempio di questa tendenza: è la seconda nazione al mondo per la presenza di robot nella produzione con 399 unità ogni 10.000 lavoratori, superato solo dalla Corea del Sud (1.000), rispetto a una media mondiale di 141 unità. Non sorprendentemente, la Cina si colloca al quarto posto con 322 unità (dati rilevati nel 2015). Ma, come ho menzionato in precedenza, la tecnologia permette anche di fare protesi su misura con una stampante, aumentando l’efficacia degli interventi a costi inferiori».
E per quanto riguarda i consumi?
«Si spazia dal lusso alla moda più in generale, dal tempo libero alla cosmesi, mercato quest’ultimo nel quale le persone che spendono maggiormente sono le donne sopra i 50 anni».
Tornando al tema della ricchezza, ci sono anche impatti in ambito finanziario?
«In particolare nel wealth management: condizioni di vita apprezzabili in età avanzata richiedono la possibilità di disporre con più serenità del proprio patrimonio. Per fare sì che ciò sia possibile, è necessaria una maggiore pianificazione finanziaria, costruita in modo strutturato e per tempo, vista l’inadeguatezza della pubblica previdenza a rispondere alla crescente domanda di una popolazione che invecchia. A livello mondiale, secondo le Nazioni Unite, nel 2018 le persone sopra i 60 anni erano un miliardo e si è stimato che nel 2030 potrebbero diventare circa 1,4 miliardi, un aumento superiore all’attuale popolazione degli Stati Uniti».
Come strutturate le vostre decisioni d’investimento?
«Sempre e solo attraverso l’individuazione delle singole aziende, in cui troviamo intersecati più temi d’investimento ed è il caso dell’esempio sopra citato, nel quale la longevità incontra la robotica e la biomedicina. L’obiettivo è individuare le aziende che maggiormente beneficeranno dei trend in atto e lo facciamo concentrandoci su un numero limitato di titoli».