«Esg, una nostra forte convinzione»

Dpam (Degroof Petercam Asset Management) è un investitore che da oltre due decenni si definisce «un pioniere innovativo nel campo degli investimenti responsabili». 

Be Private ha incontrato Ophélie Mortier, chief sustainable investment officer della società.

Vantate oltre vent’anni di storia nell’investimento sostenibile.

«Già nel 2001, Dpam aveva fatto una scelta, allora coraggiosa, di sviluppare e offrire strategie di investimento sostenibili e responsabili. Viviamo in un mondo in continua evoluzione, che deve affrontare sfide ambientali, sociali e di governance come il cambiamento climatico, le diseguaglianze, la sovrappopolazione umana, la disruption tecnologica. Riteniamo che ogni decisione di investimento abbia un impatto, il che significa che abbiamo la responsabilità, in quanto asset manager, di considerare attentamente il significato delle nostre azioni. Inoltre, crediamo che l’integrazione di criteri di sostenibilità migliori il processo decisionale degli investimenti. La nostra forte convinzione è stata confermata nel corso degli anni dal comportamento degli investitori, dalle scelte della società civile e, più recentemente, dalle iniziative delle autorità di vigilanza». 

Quali sono le opportunità che l’investimento sostenibile offre?

«Investire in modo sostenibile richiede di avere importanti valori di riferimento. Tempo fa, abbiamo deciso di abbracciare quelli che possono essere considerati valori universali e li abbiamo declinati in tre impegni, che guidano le nostre scelte d’investimento. Si tratta di un processo che negli ultimi otto anni abbiamo irrobustito e strutturato, perché le nostre decisioni siano coerenti con la strategia che si è deciso di adottare. Il primo di questi impegni è legato alla difesa dei diritti fondamentali, come quelli del lavoro e, più in generale, quelli umani, ma anche la prevenzione della corruzione e la protezione dell’ambiente. Si tratta di categorie ampie, ma adatte a essere utilizzate come filtro nella definizione dell’universo in cui investire. In secondo luogo, all’interno delle nostre scelte, evitiamo di puntare su aziende o governi coinvolti in azioni controverse. Non si tratta solo di società, ma anche di stati il cui comportamento venga considerato discutibile, ad esempio, in ambito sociale, nei confronti degli stakeholder o in termini di governance. Ciò permette, inoltre, di limitare i rischi reputazionali, che sono una conseguenza possibile dell’investimento in aziende/governi controversi. Infine, perseguiamo un terzo obiettivo: nella strutturazione di un portafoglio sostenibile, premiamo le aziende che adottano le pratiche più efficaci e che offrono i migliori prodotti o servizi per fare fronte alle sfide Esg. Elemento importante: non ci limitiamo a considerare i risultati ottenuti, ma valutiamo positivamente anche gli sforzi compiuti da imprese e governi in questa direzione. Ciò ci permette di individuare quelle società o quei paesi che saranno i protagonisti del futuro della sostenibilità.  Ciò che è importante sottolineare è che in Dpam l’approccio sopra descritto, nello specifico per quanto riguarda i primi due ambiti, è valido per l’intera gamma di strategie, indipendentemente dalla connotazione del singolo fondo, a conferma della scelta valoriale distintiva fatta a monte».

È stata una decisione importante.

«Riflette il Dna della nostra società e si allinea ai nostri valori. Dpam è nata dalla fusione di due aziende familiari che si sono sempre caratterizzate per il loro tratto di azionisti di lungo termine, per l’importanza attribuita alla reputazione e con valori guida che, con l’andare del tempo, si sono irrobustiti. I nostri principi di investimento si basano su tre pilastri: gestione attiva, sostenibilità e ricerca. Siamo una società di gestione sostenitrice della gestione attiva, guidata dalle convinzioni e da un processo bottom-up supportato da una ricerca interna ben strutturata. La sostenibilità è al centro del nostro patrimonio genetico. Con la nostra politica di investimento, otteniamo quindi un duplice scopo, alla base di tutta la nostra attività: raggiungere un impatto positivo a livello sociale, ambientale e di governance, e offrire investimenti in grado di dare buoni rendimenti nel lungo periodo». 

Quando avete deciso di adottare questo approccio per tutto il patrimonio in gestione?

«Dpam ha deciso di farlo nel 2017 ed è avvenuto dopo anni dal lancio del nostro primo fondo sostenibile. Si è scelto di definire il profilo con cui presentarci al mercato e decidere se il tratto della sostenibilità dovesse essere una caratterizzazione che non fosse semplicemente circoscrivibile a specifici prodotti. Abbiamo scelto di essere coerenti e di farlo a tutti i livelli, consapevoli che questa decisione dovesse essere coniugata al nostro impegno, come società di gestione del risparmio, di generare performance per gli investitori. Oggi circa il 47% del patrimonio netto gestito da Dpam è costituito da prodotti classificati, in base alla normativa, come sostenibili. Nel 2001, i parametri di riferimento erano più indirizzati alla protezione della reputazione e all’avversione al rischio, attraverso un processo di esclusione e di best-in-class applicato a qualsiasi settore. C’è poi stata un’evoluzione all’interno del processo di investimento: oggi cerchiamo società che sviluppino prodotti e soluzioni che sappiano fare fronte alle necessità e agli stimoli che il fatto di perseguire obiettivi di sostenibilità comporta. Ma, non solo. Sia l’attività di engagement, cioè di dialogo costruttivo, sia la misurabilità dell’impatto, hanno assunto un ruolo molto importante». 

Investire in modo sostenibile comporta anche una responsabilità come azionisti.

«La responsabilità dei detentori di azioni e di obbligazioni passa attraverso l’attività di engagement che non è solo espressione del voto all’assemblea degli azionisti. Esso è fatto di partecipazione attiva, confronto con il management dell’azienda, anche attraverso iniziative individuali o in collaborazione con altre società di gestione. Lo stesso approccio vale ovviamente per i governi dei paesi in cui investiamo, con i quali abbiamo uno scambio su molteplici tematiche». 

Potrebbe fare alcuni esempi?

«Dpam è membro della Climate Action 100+ *.  Grazie a ciò, siamo riusciti a ottenere risultati significativi, come nel caso di un produttore di cemento che, nonostante avesse dichiarato di essere in linea con gli obiettivi sul clima siglati nell’accordo di Parigi, nei fatti non lo era. È stato grazie alle esplicite richieste fatte alla società di comunicare pubblicamente le loro strategie per raggiungere gli obiettivi di diminuzione delle emissioni di carbonio che si sono ottenuti buoni risultati. C’è poi il ruolo fondamentale che le stesse assemblee degli azionisti possono avere per esercitare pressioni sulle aziende. È il caso di TotalEnergies, in cui un gruppo di 11 investitori, compresa Dpam, ha presentato una risoluzione dove si esorta la società a fissare e a pubblicare obiettivi coerenti, anche per questa situazione, con l’accordo di Parigi. I cofirmatari, che rappresentano circa lo 0,8% del capitale azionario della società, hanno rilevato che, nonostante il riconoscimento dei progressi compiuti negli ultimi anni, i suoi sforzi attuali non sono sufficienti per fermare il riscaldamento globale. Con questo atto abbiamo incoraggiato TotalEnergies a diventare il primo colosso del petrolio e del gas che ha allineato i suoi obiettivi per il 2030 al target di 1,5 gradi centigradi e a essere un esempio per gli altri nel settore». 

*Climate Action 100+ è un’iniziativa che oggi raccoglie più di 400 asset manager con oltre 35 trilioni di dollari di asset gestiti e ha lo scopo di garantire che le maggiori aziende emittenti di gas serra del mondo intraprendano le azioni necessarie per il cambiamento climatico.

È il riconoscimento del ruolo attivo che gli investitori possono avere.

«È proprio così: gli investitori ricoprono un ruolo fondamentale per quanto riguarda la sostenibilità. In Dpam diamo grande importanza alle assemblee degli azionisti: siamo passati da una fase reattiva, in cui il coinvolgimento degli investitori si esprimeva solo con il voto, a una proattiva, che vede investitori come Dpam farsi portavoce (sia singolarmente, sia tramite l’azione collettiva) di istanze specifiche da sottoporre alle assemblee, con l’obiettivo preciso di  incidere sulle decisioni delle aziende e le loro strategie. Ed è proprio questa la modalità attraverso la quale implementare le politiche Esg. Cito un altro caso: Amazon. La società, dal nostro punto di vista, ha una serie di criticità alle quali dovrebbe dare risposte, cosa che non ha fatto, nonostante le nostre ripetute sollecitazioni. Di conseguenza, da un’azione individuale siamo passati a un’altra collettiva e utilizzeremo l’assemblea della società per avanzare le nostre proposte e chiedere all’azienda di assumersi maggiore responsabilità per quanto riguarda la sua politica sociale».

Come individuate le società nelle quali investire?

«In Dpam, la prima cosa che facciamo è individuare da un lato il modello di business in cui si vuole investire, dall’altro prestare molta attenzione al comportamento delle aziende. Si possono scegliere società interessanti e competitive, ma non bisogna tralasciare quali prodotti o servizi offrono, cioè quale sia il loro impatto Esg. Possiamo avere posizioni in gruppi  considerati tra i migliori del settore per quanto riguarda il loro comportamento Esg, come ad esempio Accor nel settore alberghiero o altri brand del lusso, ma il cui core business è neutrale dal punto di vista dell’impatto Esg. Oppure essere presenti in imprese del settore delle energie rinnovabili, quindi dal forte impatto positivo a livello ambientale, ma con notevoli problematiche, ad esempio, nella gestione della propria forza lavoro. Vogliamo infatti realmente investire in società che offrono soluzioni alle sfide Esg».

Come procedete in tal senso?

«Per prima cosa, si decide quali sono per noi le tendenze sostenibili di medio-lungo periodo. In secondo luogo, si sceglie in quale ambito della catena del valore ci si vuole posizionare. E, anche in questo caso, portare alcuni esempi è d’aiuto. Se si considera l’elettrificazione della mobilità, ci sono diversi punti della filiera nei quali si può investire: dalle materie prime alle infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici. Anche nel mondo farmaceutico e della biotecnologia si possono identificare diversi ambiti: dalle scoperte cliniche alla diagnostica. Ciò che facciamo è investigare per intero la catena del valore in modo qualitativo e attraverso un’analisi approfondita che tiene sì in considerazione i criteri Esg, ma anche le valutazioni finanziarie tradizionali e le considerazioni di carattere macro e microeconomico. Una volta fatto ciò, si individua qual è il segmento della filiera in cui  investire. Nel primo caso citato, la nostra decisione è stata di posizionarci sui semiconduttori di potenza e sui produttori di celle per veicoli elettrici, individuando in questo ambito le aziende più promettenti».

Perché proprio questo segmento?

«Perché riteniamo che, proprio in tale comparto, ci siano le migliori opportunità da cogliere in questa particolare catena del valore. Il nostro è un processo che ha l’obiettivo di offrire una performance sostenibile: investiamo dove ci sentiamo più a nostro agio, dopo avere fatto le analisi necessarie, e riscontriamo congruenza tra le nostre decisioni e i principi che ci guidano. Lo facciamo là dove pensiamo che ci sia un rendimento consistente nel tempo. È vero, nella catena di elettrificazione non investiamo nelle materie prime, ambito che, in termini di sostenibilità, presenta diverse criticità in tema di Esg. Tuttavia, ciò non significa che non sosteniamo iniziative per l’approvvigionamento responsabile, come facciamo, ad esempio, nel caso del cobalto (metallo importante per la produzione di batterie). Invece, la decisione di non essere presenti nella parte finale della stessa catena è perché in casi come quello di Tesla, ad esempio, non consideriamo la generazione di cash flow adeguata, quindi non siamo presenti per considerazioni di carattere puramente finanziario». 

Una transizione equa e sostenibile ha alti costi. Che cosa ne pensa?

«La transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio comporta costi importanti ed è stimata a circa diversi trilioni di dollari: bisogna aumentare la produzione di rinnovabili, ristrutturare gli edifici, cambiare alcuni sistemi sinora utilizzati. Tuttavia, c’è anche l’altra faccia della medaglia, cioè le opportunità che questo cambiamento offre: ci sono imprese che devono modificare il loro modo di produzione, ma altre che realizzano prodotti necessari affinché il cambiamento sia possibile. Rinnovare immobili significa apportare cambiamenti grazie a una serie di nuovi materiali innovativi e più resilienti al cambiamento climatico. Nell’ambito bio-farmaceutico, come ho accennato prima, ci sono società che producono terapie per le valvole cardiache che riducono al minimo l’invasività di un intervento chirurgico».

Parlando di transizione, ci sono però anche costi sociali.

«Ci sono e bisogna tenerne conto. È anche questa una delle ragioni per cui non riteniamo che le società che operano nel campo delle energie fossili siano da escludere completamente dai portafogli, ma è importante che si allineino con gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Noi pensiamo, in qualità di investitori, di avere un ruolo di responsabilità all’interno della transizione energetica ed è per questo motivo che abbiamo aderito all’iniziativa di TotalEnergies di cui abbiamo parlato. Non si può pensare che, da un giorno all’altro, si debba chiudere tutto ciò che è legato al settore estrattivo, perché farlo creerebbe un disastro incredibile a livello sociale. Bisogna riflettere, invece, in termini di transizione vera e propria, ovvero di percorso, con tutto ciò che questo processo comporta, compresa la conversione della forza lavoro dal fossile alle rinnovabili; ed è importante che ciò avvenga con attività di educazione e formazione della mano d’opera. Si perderanno posti di lavoro, ma se ne creeranno di nuovi e la Germania, da questo punto di vista è un chiaro esempio. Anche su tale fronte, Dpam, che ha aderito alla Net Zero Asset Managers Initiative, è attiva in una serie di iniziative a livello sociale».

Degroof Petercam Asset Management SA/NV l rue Guimard 18, 1040 Bruxelles, Belgio l RPM/RPR Bruxelles l TVA BE 0886 223 276.

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Pinuccia Parini

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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