La disruption nei portafogli
A colloquio con Andrea Dolsa, Vicedirettore Generale Euromobiliare AM SGR
In un contesto di tassi vicini allo zero, con circa 17,05 trilioni di dollari di obbligazioni con rendimenti reali negativi, diventa sempre più complesso non solo cercare opportunità di investimento, ma tenere sotto controllo il profilo di rischio dei portafogli. In un periodo di grandi cambiamenti, la definizione dell’asset allocation diventa un fattore sempre più importante, insieme alla ricerca del rendimento.
Quali sono gli elementi che caratterizzano le scelte di asset allocation e come, alla ricerca di rendimento, gestite il profilo di rischio dei portafogli? Quali sono gli orizzonti temporali di investimento?
«Nella nostra gamma di fondi abbiamo strumenti a vocazione azionaria, obbligazionaria e bilanciati, sia direzionali, sia flessibili. La nostra politica di investimento si articola, in base al prodotto, in modo diverso. Per quanto riguarda i fondi specifici per tipologia di investimento, operiamo seguendo una strategia bottom-up, ovvero analizzando i singoli titoli da un punto di vista fondamentale. Per i prodotti bilanciati, invece, la definizione dell’asset allocation avviene attraverso un approccio top-down, considerando cioè i dati macro, le decisioni e gli interventi in materia di politica monetaria delle banche centrali e guardiamo con attenzione ai flussi di mercato. All’interno della nostra società di gestione operano tre team: uno dedicato al mercato azionario, il secondo all’obbligazionario e il terzo ai fondi bilanciati e multi-asset. La cooperazione e il confronto al loro interno sono continui. È presente anche una strategist che, nell’adempimento del suo ruolo, funge da punto di riferimento nelle scelte di investimento. Questa modalità operativa fa sì che la valutazione dei singoli titoli e il loro rapporto rischio/rendimento vengano costantemente monitorati, messi a fattore comune di tutto il gruppo e diventino patrimonio condiviso: tanti singoli mattoncini inseriti all’interno dei portafogli. La caratteristica di ciascun fondo porta alla definizione di diversi orizzonti temporali: per i prodotti direzionali è medio-lungo, per quelli flessibili la rotazione dei portafogli e le scelte di investimento avvengono in un arco di tempo più limitato, guidati dalla strategia del market timing».
Tra gli asset rischiosi, potrebbe spiegare quali sono le vostre preferenze e quali le vostre valutazioni?
«Nel contesto attuale, l’asset class azionaria è quella che privilegiamo, perché riteniamo che i livelli di risk premium (ovvero la differenza tra il rendimento di mercato e il tasso di interesse privo di rischio) siano particolarmente interessanti e che le politiche di stimolo adottate in questi mesi possano generare crescita nei prossimi anni. Quest’ultimo è un aspetto decisamente importante, perché non basterebbero i tassi a zero a giustificare la nostra preferenza per i mercati azionari, se non ci fossero aspettative di ripresa, che i governi di tutto il mondo hanno alimentato con le misure adottate a sostegno dell’attività economica. Inoltre, ci troviamo di fronte a un tessuto aziendale sano, con le società che hanno rifinanziato il loro debito e hanno avuto revisioni al rialzo delle attese nelle ultime trimestrali. Queste considerazioni valgono sia per i listini americani sia per Europa e Asia. Le dinamiche di mercato rivelano che gli investitori sono fiduciosi su una ripresa dei ricavi delle aziende, con alcune di queste che sono diventate vere e proprie protagoniste del mercato e dell’economia. In merito alle valutazioni dell’asset class azionaria, noi guardiamo con attenzione ai singoli settori. Siamo convinti che quello farmaceutico sia a sconto rispetto alle valutazioni storiche, mentre riteniamo che l’energia e le banche, viste le pesanti correzioni dei prezzi che hanno evidenziato, possano offrire sì qualche opportunità, ma solo nel breve, perché non intravediamo dinamiche positive all’orizzonte. Pensiamo, infatti, che il settore creditizio sia ancora in fase di consolidamento, mentre quello energetico è in piena trasformazione e non è ancora chiaro come si connoterà nel futuro. Nel medio periodo siamo positivi su segmenti che, a causa della pandemia, hanno subito pesanti perdite come le crociere, gli hotel e la ricreazione in generale. La tecnologia continua a essere interessante nelle sue diverse applicazioni come quelle in campo medico-sanitario: i multipli sono alti, ma le potenzialità sono elevate e diverse».
Poiché alcune aziende diventano sempre più grandi, alla fine non si rischia di impoverire il tessuto dove operano le società più piccole?
«Il trend attuale è che chi vince prende tutto, creando un circolo virtuoso per le aziende di grandi dimensioni, ma sicuramente meno favorevole per quelle più piccole, soprattutto se non quotate. Ogni anno Facebook acquista quasi un centinaio di start-up e l’unico e vero rivale sul mercato per l’azienda americana è la cinese TikTok, cresciuta in un contesto diverso e protetto. Quali saranno le conseguenze future di questo fenomeno non è facile da ipotizzare e, soprattutto, richiederanno tempo perché si possano in qualche modo evidenziare. Gli amministratori delegati di Apple, Amazon, Google e Facebook sono stati recentemente chiamati a testimoniare davanti al Congresso americano, dopo una indagine durata 13 mesi. A loro è stato chiesto di giustificare le pratiche di business, ma, se la crescita è avvenuta in verticale, diventa più difficile pensare a un intervento dell’antitrust. Comunque, qualsiasi possa essere l’evoluzione futura, non intravediamo rischi nell’immediato. Lo abbiamo già visto accadere in più fasi per il settore petrolifero con interventi della Corte Suprema e dell’antitrust, che ne hanno modificato l’assetto, creando nuovi colossi petroliferi che, a loro volta, sono stati soggetto e oggetto di consolidamenti, sino ad arrivare alla situazione odierna, dove alcuni grandi protagonisti del settore energetico cercano di modificare in modo significativo il proprio modello di business. Sono processi lenti, le cui conseguenze non sono misurabili nell’immediato soprattutto in un’ottica di investimento».
Il tema dei megatrend è diventato un elemento caratterizzante di molti prodotti di investimento, insieme a quello della disruption. Fate dei distinguo tra i due o vedete punti in comune? Come affrontate questi due aspetti all’interno dei portafogli?
«I megatrend affrontano temi di investimento in modo trasversale, come ad esempio l’invecchiamento della popolazione, l’efficientamento energetico e, ancora una volta, l’innovazione tecnologica. Noi crediamo nei megatrend e, nello specifico, abbiamo appena lanciato un nuovo prodotto chiamato “Digital trend” che ha incontrato forte interesse tra i sottoscrittori. All’interno di ciascuno di questi grandi temi possono esserci aziende che operano in regime di disruption. Due esempi sono Netflix e Amazon Prime, che hanno tolto una buona fetta di mercato alla televisione tradizionale ed è possibile che continueranno a farlo. Altro caso è Zoom, che tratta sì a valutazioni elevate, ma la pandemia ha portato a viaggiare di meno e a usare sempre di più le video call, un utilizzo quest’ultimo che probabilmente entrerà nelle modalità quotidiane di lavoro, contatto e socializzazione anche post Covid. Spesso assistiamo a un uso generalizzato del termine “disruption”, che viene genericamente applicato a tutto ciò che rappresenta una novità tecnologica, senza dimenticare la discriminante di fondo: si tratta di un processo che porta a modificare le logiche presenti sul mercato, introducendo nuovi comportamenti, causati dall’applicazione di una nuova tecnologia o di un nuovo modello operativo».
Qual è il livello di integrazione dei criteri Esg nelle politiche di investimento?
«Abbiamo iniziato un’integrazione dei criteri di sostenibilità all’interno del processo di investimento nei nostri portafogli, che porteremo avanti con attenzione. Nella nostra gamma prodotti, oggi solo sette sono definiti Esg: l’intenzione è aumentarne il numero senza però procedere verso una trasformazione totale, perché vogliamo mantenere la specificità di alcuni strumenti. Intendiamo non solo adottare i criteri Esg nelle nostre politiche di investimento, ma inglobare anche i 17 goal dell’Agenda 2030 e andare
a misurare, periodicamente, l’impatto registrato per singolo obiettivo. Con questa filosofia è stato lanciato il fondo Euromobiliare Green4Planet. Noi continuiamo quindi il nostro percorso con il massimo impegno in un contesto in cui le direttive dell’Esma, l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, hanno già indicato alcune scadenze precise in merito all’introduzione di un regolamento del settore, con cui nascerà il primo sistema al mondo
di classificazione delle attività economiche sostenibili,
che inizierà a focalizzarsi in primis sugli aspetti di carattere ambientale».
Il Covid come ha agito sui cambiamenti che stiamo osservando?
«Il virus è stato solo un acceleratore di trend che erano già in atto e li ha fatti emergere con forza».