Millenial: tutto diverso anche gli investimenti

A volte ci sono definizioni, spesso create da esperti di marketing o sociologi, che ottengono un successo straordinario, ben oltre le intenzioni di chi le crea. Il termine millennial rientra senz’altro in questo ristretto gruppo di etichette che si sono imposte in un modo straordinario, assumendo, man mano che si diffondevano, un significato diverso a seconda degli interlocutori. In generale, questa parola è stata utilizzata come sinonimo di giovani, senza che ci si rendesse conto, però, di alcuni fattori importantissimi, destinati a impattare enormemente l’andamento dei mercati e dei prodotti di investimento nei prossimi anni.

Innanzitutto, ogni delimitazione generazionale tende gioco forza a comprendere un lasso di tempo piuttosto elevato, includendo così persone cresciute in condizioni notevolmente diverse. Generalmente, infatti, rientrano nell’ambito dei millennial tutti coloro che sono nati fra il 1981 e il 1996 compresi. Come si può capire, si tratta di un arco temporale ampio e caratterizzato da esperienze e gusti molto diversi. I più anziani del gruppo sono diventati adulti in un mondo in cui internet era agli albori e, allo scoppio della crisi finanziaria del 2008, in molti casi avevano già esperienze lavorative. Chi è nato nella seconda metà degli anni novanta, invece, non ricorda, o quasi, un mondo prima dell’avvento degli smartphone.

Ciò che è certo è che si tratta di un blocco di persone importantissimo per l’economia globale per due ragioni. La prima è il loro numero: uno studio della Banca Mondiale del 2015 ha calcolato che all’epoca vi fossero al mondo 2,3 miliardi di persone considerate millennial, un gruppo molto più numeroso rispetto a 1,4 miliardi di coloro che sono nati fra il 1965 e il 1979. Di questi 2,3 miliardi oltre 400 milioni sono cinesi, un dato assolutamente fondamentale per capire il peso economico e trasformativo dei 25-30enni di oggi.

Nei paesi occidentali, Stati Uniti in primis, forse il fenomeno più studiato per quanto riguarda i millennial è il marcato ritardo, e in diversi casi la definitiva rinuncia, a diversi passaggi della vita adulta che venivano dati per scontati. In particolare, il riferimento è alla formazione di una famiglia e al fatto di diventare genitori, con tutto ciò che ne consegue in termini di risparmio, di acquisto di immobili e di pianificazione degli investimenti nel lungo periodo. Un punto che si rivelerà decisivo, per le sorti dell’economia globale nei prossimi anni, è se questo fenomeno è dovuto a un semplice processo più diluito nel tempo del diventare adulti (basti pensare a quanti anni d’istruzione sono ormai necessari per potere accedere a lavori qualificati) o se ci troviamo di fronte a un’intera generazione permanentemente azzoppata in termini di redditi, capacità di accumulo e di investimento.

Ciononostante, dagli Stati Uniti sembra che stiano arrivando segnali incoraggianti: una ricerca di LendEDU del 2019 ha evidenziato che il 58% di coloro che hanno fra i 23 e 38 anni di età possiede un immobile. I dati del censimento statunitense del 2015 indicavano che, nella fascia di età fra i 45 e i 55 anni, la percentuale dei proprietari era del 70,1%. Visto il ritmo di crescita delle vendite delle case in Usa, non ci sarebbe da stupirsi se coloro che sono nati negli anni ottanta e negli anni novanta arrivassero a percentuali di diffusione del possesso di immobili anche superiori rispetto a chi li ha preceduti.

Un forte gap sembra invece permanere quando si parla di ricchezza complessiva: tutte le maggiori economie avanzate mostrano che non solo la quota di patrimoni privati posseduta dagli investitori più giovani è molto bassa, visto che si tratta di persone che hanno cominciato a lavorare e investire da non molto tempo, ma anche che questa percentuale è più contenuta rispetto alle generazioni precedenti alla stessa età. Sempre in America si può notare che nel 2008, quando l’età mediana della generazione X era 35 anni, quest’ultima deteneva il 9% circa della ricchezza nazionale privata. Per i millennial un simile livello verrà raggiunto non prima del 2023, visto che nel 2019 il valore equivalente si fermava al 3,2%. Il fenomeno appare particolarmente intenso in Italia, dove l’età media dei detentori di fondi comuni aumenta da ormai oltre un decennio, segno di una certa difficoltà nella trasmissione generazionale della ricchezza nel nostro paese.

Per l’industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria entrare in contatto con questo insieme demografico non è certo una sfida facile, specialmente dopo oltre un decennio di crescita di quasi tutti gli attivi rischiosi, grazie alle politiche monetarie espansive e non convenzionali delle banche centrali. Dove si possono aprire enormi opportunità è nella proposizione di prodotti di investimento innovativi, sia per quanto riguarda lo stile di gestione, sia per i temi in cui andranno a investire. Si tratta, infatti, di una generazione che spende una quota non indifferente del proprio reddito in videogiochi (anche negli strati più anziani del gruppo), che peraltro usa anche come strumento di comunicazione e socializzazione. Si tratta di persone abituate ad avere nelle abitazioni in cui si sono appena trasferite sistemi di domotica basati sull’intelligenza artificiale e per le quali il concetto di streaming è la condizione naturale dell’essere.

Infatti, la differenza più grande con il recente passato è nella propensione sempre più esplosiva a trasformare i propri modelli di consumo, anche di beni fisici, in una dimensione sempre meno orientata al possesso e sempre più all’utilizzo “su richiesta”. I casi sono ormai comuni: oltre a quelli celeberrimi dello streaming di video e musica e del bike e car sharing, va considerato anche l’approccio ai servizi finanziari. In questo senso la generazione millennial cinese rappresenta probabilmente il caso più avanzato. A differenza dei loro pari età occidentali, essi vantano una condizione economica nettamente migliore rispetto ai loro genitori, con una capacità di spesa e un’apertura mentale senza pari. Il successo di una piattaforma come Alibaba, che combina media, e-commerce e prodotti di risparmio gestito accessibili e disinvestibili nel giro di pochi click, è un esempio molto significativo.

Per attrarre questa generazione gestori e consulenti dovranno riuscire a parlare il loro linguaggio, offrendo un servizio negli stessi termini in cui essi sono abituati a consumare e a interagire con il mondo circostante, su tematiche e obiettivi per loro prioritari. Nuove tecnologie, sensibilità sociale, rimodulazione dell’economia verso un modello di servizio, nonché un approccio all’investimento coerente con gli stili di vita destinati a diventare sempre più comuni in futuro. Il tutto in un mondo, come si è visto in questo 2020, altamente rischioso e con un probabile futuro fatto di rendimenti degli investimenti più contenuti rispetto al recente passato.

Boris Secciani

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Responsabile Ufficio Studi Fondi&Sicav

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