L’erede del futuro

La continuità e l’eredità del patrimonio identitario e industriale sono temi essenziali all’interno di un passaggio generazionale. Be Private ne parla con Emanuele Sacerdote, manager, imprenditore, docente e, fondatore della società di consulenza Soulside; recentemente ha pubblicato “Il futuro erede”, una conversazione sulla continuità dell’azienda, edito da “Il Sole 24ore”. Nel saggio il tema viene trattato attraverso una conversazione con una giovane futura erede, ispirandosi a esperienze di vita reale, in cui viene affrontato come viene vissuto l’arco temporale che precede l’entrata nell’impresa.

Ho una prima curiosità. A suo parere, esiste una differenza tra un erede e un imprenditore-fondatore?

«Assolutamente sì. La differenza sta nella logica sottesa tra creare un’impresa ed ereditare un’impresa, in quanto cambiano i connotati strategici e ambientali. Ovviamente, le due cose sono consequenziali: senza fondazione di un’azienda non ci sarebbe da ereditare una società. All’erede è chiesto di continuare, di migliorare, di progredire. In quest’ottica l’eredità non è un super-potere, è un privilegio, un vantaggio di partenza che bisogna sapere gestire. Inoltre, occorre tramandarla alle prossime generazioni, possibilmente in condizioni migliori e di valore superiore rispetto a ciò che si è ricevuto. Mi preme un chiarimento. Il fondatore ha costruito la sua impresa in un determinato momento storico e con il suo specifico bagaglio esperienziale. La genialità imprenditoriale allo stato puro più elevato (innovazione e avanguardia) è anche il dono di sapere sconfinare dalla realtà e di saperla rappresentare in modo unico e singolare. Ne consegue che l’azienda e il suo successo sono generati da una serie di esperienze e percorsi personali di vita vissuta (conflitti, insoddisfazioni, intenzioni, ambizioni, sofferenze, sensibilità, successi, fortune, ecc.) e di un rapporto esistenziale con il mondo esterno. Questo spirito e queste capacità non sono ereditabili nella loro purezza, in quanto hanno una componente di carattere esclusivamente personale e intangibile. Il codice genetico familiare è sinonimo di intense somiglianze e di evidenti similitudini, ma virtù come l’intraprendenza, il fiuto e l’istinto si forgiano, si assimilano e si affermano con l’esperienza, la conoscenza e la competenza sul campo e con tanto esercizio e allenamento». 

Leggendo il suo libro, si ha la sensazione che abbia dato molta rilevanza al lato emozionale del passaggio generazionale. Quanto pesa?

«La scrittura del libro è nata da una conversazione con una giovane futura erede che mi ha stimolato a cambiare prospettiva. Normalmente, il punto di vista principale con cui si osserva e si analizza il passaggio generazionale è quello del leader reggente, che governa l’impresa. Guardare dalla prospettiva dell’erede entrante mi ha dato la possibilità di vedere le cose in modo diverso. Ho cercato di rappresentare e di descrivere gli aspetti positivi, critici, intimi e, in parte, esistenziali, che potevano esserle utili per valutare meglio come entrare e come affrontare la sfida».

Ecco, questo punto mi sembra interessante da approfondire. Che cosa vuole dire essere l’erede del futuro?

«Vuole dire assumere con grande rispetto, preparazione e responsabilità il ruolo del traghettatore della proprietà alle prossime generazioni. La prospettiva temporale che ho cercato di sottolineare è la continuità, cioè la durata e la longevità ultra e plurigenerazionale. Mi permetta una divagazione pseudo-filosofica. Il tempo è, sia l’architrave, sia il corridoio, sul quale si svolge e si estende la ventura. Se al passaggio generazionale non si attribuisce un tempo plurigenerazionale, si rischia di limitare l’intenzione e l’ambizione delle generazioni che si susseguono nell’azione di proseguire e progredire nel futuro. Il che non è sufficiente, perché ci vuole crescita, sviluppo e redditività del patrimonio aziendale, identitario e familiare sottostante. Molto semplicemente, si fa per dire, il passaggio generazionale è, sia trasformazione, sia cambiamento. Inserire l’erede è il cambiamento, mentre il protocollo del passaggio generazionale è la trasformazione. Il cambiamento e il progresso sono la meta, il protocollo è il percorso per raggiungere la meta».

Quindi, se dovesse definire il passaggio generazionale?

«Il passaggio generazionale non è il semplice trasferimento di testimone, bensì la frontiera di salvezza, la copertura assicurativa, l’innovazione genetica, il ricambio congenito e organico, il processo di scambio, l’equilibrio tra similitudini e differenze, capaci di fortificare l’azienda dell’essere e di preparare l’azienda del divenire. Per vederlo in questo modo bisogna prevenire al posto di curare, compiere un esercizio di spossesso, assumere l’improrogabilità dell’essere, progettare in termini di lungo periodo, superare i conflitti, limitare la vanità».

Spieghi meglio questo concetto, per favore.

«Se cambiamo il punto di vista, il passaggio generazionale rappresenta uno tra i rischi più pericolosi per l’impresa. Il buon senso imprenditoriale porta ad asserire che l’interruzione improvvisa della governance e della proprietà introducano un rischio strategico di grande portata. Il danno conseguente avrebbe gravi impatti nell’immediato e causerebbe difficoltà nella fase di recupero e di ripresa. Nei casi più drammatici e rischiosi, si potrebbe parlare di disastro al pari di una calamità naturale. La prevenzione del passaggio generazionale organizzato dovrebbe rappresentare la salvezza e la continuità per l’esercizio dell’impresa».

Facile da dire, difficile da mettere in pratica. Qual è la chiave di volta?

«Ovviamente non ho la presunzione di conoscere la formula magica e tanto meno penso che possa esistere una formula magica applicabile a tutti i casi. Nelle situazioni che ho vissuto, ho compreso che, se le persone ritengono di mettersi al servizio dell’azienda e della famiglia con un atteggiamento aperto e collaborativo, si instaura il corretto spirito di continuità. Se, invece, prevalgono gli interessi personali e le dinamiche soggettive, si pregiudica quel sentimento di continuità. L’azienda di famiglia è un bene di famiglia e bisogna saperlo amministrare per le prossime generazioni. La prima entità da preservare e da tutelare è il corpo-famiglia seguito dal corpo-azienda. Ritengo che la capacità di adottare un approccio equilibrato, coerente al momento e lungimirante, possa contribuire al buon governo e alla continuità dell’impresa di famiglia, oppure alla vendita e alla nascita, post-liquidity event, di una nuova modalità di governare il patrimonio da tramandare».

 

Un altro aspetto interessante da indagare è il patrimonio che si eredita. Che cosa deve traghettare il futuro erede?

«Si ereditano patrimoni e ricchezze che sono fisiche, tangibili e monetizzabili, ma si ereditano anche patrimoni e ricchezze immateriali e illiquide complicate da realizzare, che sono però parte molto rilevante del lascito e ne determinano la reale sostanza. In pratica, si ereditano finanze, imprese, immobili, ma anche la vocazione, la memoria, l’amore, la visione e le intenzioni che hanno edificato quella ventura e, conseguentemente, generato quel patrimonio. Il patrimonio intangibile è sempre molto pregno di cultura, storia e memoria, e solitamente sta alla base del patrimonio tangibile. Nel caso specifico, ereditare un’impresa ed essere la prossima generazione al comando, significa ereditare un capitale reputazionale e identitario che sarà parte dell’intera vita personale e professionale e con cui ci si dovrà confrontare tutti i giorni. Lo chiamerei il capitale atteso e inatteso, quello visibile e quello invisibile, che si compone di valori, di comportamenti e di radici».

Qual è l’augurio che ha fatto alla futura erede?

«Oltre ad avere tanto successo e grandi soddisfazioni, le ho augurato di incidere nella storia del futuro. Inoltre, le ho suggerito di mantenere sempre alto il suo spirito di autonomia di giudizio e di azione. Essere indipendenti non vuole dire depotenziare il senso di appartenenza, ma essere liberi da condizionamenti ed essere dotati di una propria capacità di valutare le cose con maggiore retrospettiva, sovranità ed emancipazione. Mi piace pensare che il semplice concetto di libertà sia ottenibile riuscendo a realizzare un’autonomia di pensiero seguita da quella culturale ed economica. L’altro auspicio è trovare l’equilibrio. Se l’amore verso la propria azienda è un sentimento importante, la ragione deve portare a valutare anche altre emozioni e altri sentimenti. Passione e logica sono gli estremi da bilanciare per trovare un giusto equilibrio». 

Pinuccia Parini

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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