Tre sorelle di cuore per una vecchia nuova azienda

È una storia di vino, ma non solo. È la storia di una famiglia molto legata al suo interno che ha dato vita a un’azienda d’eccellenza oggi guidata da tre donne. Si definiscono “sorelle di cuore” e ciò dà l’idea del forte legame che le unisce, perché quando viene dal cuore è frutto di una scelta. A parlarne è Dominga Cotarella, ai vertici della società Famiglia Cotarella.

Famiglia Cotarella è un’azienda guidata da tre giovani donne, che hanno ereditato dalla famiglia la passione per il vino: tre cugine a capo di un’attività cresciuta negli anni, cui hanno saputo dare la propria impronta.

«È la storia di una famiglia molto unita, nella quale mio padre Riccardo e suo fratello Renzo hanno deciso di condividere molti aspetti della loro esistenza, tra cui anche vivere sotto lo stesso tetto. Il forte legame tra loro è stato un elemento cementante che è stato fatto proprio anche dalle rispettive mogli e trasmesso a noi figlie, tanto da considerarci sorelle di cuore. Ed è stato proprio questo modo di sentire comune, con la famiglia al centro, che ci ha permesso di dare continuità alla nostra attività». 

Le origini della vostra azienda risalgono agli anni ‘60, quando due fratelli, Antonio e Domenico Cotarella, decisero di realizzare la loro cantina. Quali sono state le tappe che hanno visto crescere la vostra attività?

«Negli anni ‘60 i fratelli Antonio e Domenico Cotarella (quest’ultimo mio nonno), viticoltori in Monterubiaglio, frazione del comune di Castel Viscardo in provincia di Terni, realizzarono la prima cantina per la produzione in proprio di vino. Furono poi mio padre e mio zio, Riccardo e Renzo Cotarella, che decisero di continuare a dare vita alla passione del padre Domenico, fondando nel 1979 l’azienda vinicola Falesco: fu allora che vennero gettate le basi dell’attuale realtà imprenditoriale. Mio padre e mio zio svolgevano già la loro attività in campo vinicolo, il primo come consulente enologo di oltre 100 aziende e il secondo come responsabile commerciale per una grande cantina, Antinori. La nascita di Falesco non precluse ai due fratelli di proseguire il loro percorso professionale, rimanendo quindi presenti con le loro visioni strategiche e come proprietà nell’azionariato, ma delegando la gestione quotidiana dell’impresa ai manager».

Ma quindi perché fondare Falesco?

«Penso che fosse stata una decisione dettata dalla volontà di creare qualcosa che appartenesse e raccontasse della famiglia, della loro storia e della loro passione, con il desiderio di iniziare un percorso, creare un’azienda di famiglia con la speranza che le figlie si sarebbero poi innamorate del mondo del vino. Fu così che fecero nascere un piccolo progetto nell’alta Tuscia, un territorio vicino al lago di Bolsena, cui diedero il nome di Falesco, da cui ebbe inizio il tutto. Se poi si vuole identificare una data importante nella storia della nostra azienda, allora bisogna citare il 1993».

Un anno importante da quale punto di vista?

«È stato l’anno in cui è nato Montiano, sin dagli esordi riconosciuto come uno dei più grandi e innovativi rossi italiani, frutto di un taglio di uve Merlot. Si è trattato di una doppia sfida della mia famiglia e, in particolare, di mio padre: produrre un vino con una struttura importante e di qualità e farlo nella sua terra di origine, l’alto Lazio, tradizionalmente vocata ai vitigni bianchi e non di grande fama. Ma c’è un altro aspetto che rivela la lungimiranza avuta da mio padre, cioè avere perseguito questo suo obiettivo nonostante il contesto non gli fosse favorevole: il mercato del vino risentiva ancora degli strascichi legati allo scandalo del metanolo e non godeva della fama e dell’attenzione che gli viene oggi riconosciuta. Da allora il marchio Falesco cominciò a essere conosciuto fuori dalla regione, fuori dall’Italia e iniziò a circolare nel resto del mondo. Furono soprattutto gli Stati Uniti a dare una spinta pazzesca allo sviluppo dell’azienda, dalla fine degli anni ‘90 agli inizi del 2000, grazie anche all’incontro di mio padre con Leonardo Locascio, all’epoca proprietario del nostro importatore, Winebow, e con Robert Parker, noto giornalista americano e nome importantissimo nel mondo del vino, che amò subito lo stile di mio padre». 

Quando e perché decise di entrare in azienda?

«Conseguito il diploma al liceo linguistico, decisi di iscrivermi alla facoltà di agraria. Lo feci non perché volevo diventare un’agronoma, ma perché ero curiosa del mondo del vino e volevo saperlo raccontare con cognizione di causa: essendo figlia di Riccardo e nipote di Renzo Cotarella, prima o poi mi sarebbe capitato di interloquire con qualcuno sul tema. Dopo diverse esperienze lavorative, nel 2005 fui la prima delle tre “sorelle” a entrare in azienda. Erano anni di crescita, in cui la società andava molto bene grazie anche alla presenza di validi manager che avevano permesso lo sviluppo dell’attività. Di fronte a me avevo un’impresa molto sana e solida, con un forte orientamento alle esportazioni, soprattutto in Usa. Fu per quest’ultima ragione che chiesi a mio padre di spendere circa un anno nel paese oltre oceano. È stata un’esperienza interessante, che rafforzò però in me l’idea di conoscere meglio il mercato italiano e fare crescere la nostra presenza, convinta che un’azienda per essere robusta lo debba essere in primis in casa propria, così come poi l’esperienza mi ha confermato. Il mercato italiano divenne così per me un obiettivo fondamentale. Nel 2008, ci fu un altro incontro importante con il direttore commerciale per l’Italia di Antinori, Enrico Chiavacci, diventato per me una persona di riferimento e che mi ha insegnato molto. Ciò che appresi da lui, ma anche dallo zio Renzo, mi portò a rivedere la struttura commerciale dell’azienda e a rinnovare tutta la rete di vendita, con grande soddisfazione, visti i risultati positivi che vennero conseguiti anche sul mercato italiano. Nel 2012 la nostra attività crebbe ulteriormente, con un ingrandimento dei nostri quartieri generali, con la realizzazione di una cantina di circa 10 mila metri quadrati a zero impatto ambientale». 

Ma quando Falesco viene ridenominato Famiglia Cotarella?

«È stato un passaggio forte, che ha creato qualche frizione, perché un giorno, durante uno dei consueti pranzi domenicali, con tutta la famiglia riunita, parlai a mio padre e a mio zio, ovviamente con la complicità delle mie “sorelle” che ne erano già a conoscenza, del progetto di cambiare il nome all’azienda. Non è difficile immaginare che modificare un marchio dopo 35 anni non è stato una scelta facile da accettare e ha provocato la reazione dei miei genitori, di mio zio, ma anche di tutta la stampa. Ma è pur vero che, mutuando una frase di un famoso poeta, una cosa diventa tua quando la reinterpreti».

Che cosa ha mosso lei e le sue sorelle a prendere questa decisione?

«Non certo per rinnegare il passato, che ci ha permesso di diventare quello che ora siamo, o per la voglia di dimenticare la nostra storia, bensì per rafforzare il nome della nostra famiglia. La decisione faceva sorgere diversi dubbi a mio padre, che continuava la consulenza come enologo in molte aziende, e a mio zio, che ricopriva una posizione apicale all’interno di Antinori. Ma io e le mie sorelle volevamo che l’impresa diventasse nostra a tutti gli effetti, perché a essa erano indirizzate le nostre energie, e che ciò venisse riflesso anche nel nome, come marchio di identificazione della nostra famiglia. È stata una vera rivoluzione: il cambio del nome, nei fatti, ha coinciso con il passaggio generazionale, anche se è stato formalizzato, da un punto di vista giuridico, nel 2017. Ma, come tengo a sottolineare, non è stato solo un cambio d’abito, ma il risultato di una transizione. Peraltro, sempre nello stesso anno, si decise anche di acquistare un’azienda in Toscana, a Montalcino, per la produzione di Brunello. Questa scelta si è rivelata particolarmente in linea con le nostre esigenze e aspirazioni e ci ha permesso di aggiungere un altro prodotto di elevata qualità alla nostra offerta. Il progetto, per il futuro, potrebbe vedere l’attività espandersi in altre parti d’Italia attraverso operazioni simili a quella di Montalcino, mantenendo sempre il quartiere generale in Tuscia».

Quindi dal 2017 le “sorelle” sono a capo dell’azienda Famiglia Cotarella?

«Sì, e ciascuna di noi con ruoli diversi, con me più concentrata sulla strategia dell’azienda, Marta, grazie alla sua laurea in economia e commercio e un’esperienza decennale in un’importante società di consulenza, responsabile della parte fiscale e amministrativa, mentre Enrica, laureata in scienza della comunicazione, impegnata nello sviluppo creativo. Abbiamo tre ruoli ben distinti, all’interno dei quali possiamo esprimere le nostre competenze e dare il nostro contributo allo sviluppo e alla crescita dell’impresa».

Quindi i vostri ruoli in azienda sono stati definiti, si potrebbe dire, in modo naturale?

«In modo naturale e in base alle nostre competenze. Siamo entrate cronologicamente in momenti diversi, anche perché abbiamo diverse età, e abbiamo liberamente scelto i nostri studi. Il risultato finale è che si sono creare tre figure professionali che si compensano, si integrano, cooperano ciascuna apportando le proprie conoscenze».

Ma che cosa secondo lei ha reso possibile questo stretto legame familiare che non solo ha mostrato forza negli anni, ma che ha permesso all’azienda di fiorire nel tempo?

«La nostra storia è un po’ unica, perché sono consapevole che non è facile avere un contesto in cui i fratelli sono molto legati tra loro, le cognate condividono lo stesso spirito, le cugine si sentono sorelle di cuore, per non dimenticare poi i loro mariti, due dei quali sono presenti in azienda. Non ho una risposta certa da dare, ma, forse, ciò che ha cementato il nostro legame, ed è l’elemento che ci tiene coesi, è la storia di nostro nonno Domenico, morto giovanissimo in un incidente. È stato un dramma che ha segnato la vita di mio padre e di mio zio, i quali hanno deciso di dedicare la loro vita in ricordo del padre. Molto presente è stata anche la figura della nonna, donna forte, che ci ha sempre insegnato l’importanza di stare uniti. Siamo cresciuti con questi valori, imparando un linguaggio di unione, che abbiamo fatto nostro e tradotto nelle nostre azioni. E poi devo aggiungere che le persone che hanno fatto la vera differenza sono state le donne, la mamma e la zia, che hanno aderito in pieno a questa idea di famiglia».

Tre donne foriere di innovazione

«L’innovazione è necessaria. Sempre nel 2017, nasce “Intrecci” iniziativa che ha l’intento di formare nuove figure professionali in grado di rivoluzionare il mondo della ristorazione, attraverso un progetto di formazione per la sala e l’accoglienza, con la formula campus. L’idea è nata dall’importanza di allargare il nostro mondo al di fuori di quello del vino in senso stretto, consapevoli che una buona fruizione di un prodotto non possa prescindere dal contesto e dalle modalità attraverso cui ciò avviene e, soprattutto, non possa fare a meno di figure con l’adeguata professionalità. Abbiamo fatto un’operazione di contaminazione tra mondi diversi, completamente nuova e unica, dedicata ai giovani, che ci ha permesso di ampliare la nostra sfera d’azione e per l’azienda ha segnato una vera e propria svolta».

E poi è nata la Fondazione Cotarella

«La Fondazione, in termini temporali, è il nostro ultimo progetto nato di recente, con la finalità di portare ulteriore innovazione all’interno del mondo gastronomico, animato dallo stesso spirito che ha dato vita a “Intrecci”. Ha due obiettivi: da un lato dare voce al nostro territorio, raccontandone la bellezza enogastronomica, culturale, paesaggistica e l’economia a esso legata, dall’altro si occupa di disturbi alimentari, perché vogliamo vedere se, reinterpretando il nostro mondo, si possono aiutare i ragazzi che ne soffrono. Come ci occupiamo di questo secondo aspetto? Intervenendo sulla formazione, la prevenzione e creando nell’azienda di famiglia strutture dove ospitare i ragazzi con le loro famiglie appena escono dalla fase acuta della malattia. Nello svolgere queste attività cooperiamo con scuole, figure professionali dedicate e importanti centri ospedalieri e, contestualmente, offriamo la possibilità alle persone ospitate di riconciliarsi con quella parte di mondo che hanno vissuto in maniera ostile. Non so se riusciremo nel nostro intento, ma sicuramente da parte nostra c’è un grande impegno perché ciò avvenga. Si tratta di un’operazione di restituzione, che abbiamo deciso di fare nei confronti del nostro territorio e anche per una serie di ragioni legate a esperienze che abbiamo vissuto».

State già pensando al futuro della vostra azienda in termini generazionali?

«Io personalmente ci penso, con quella sana preoccupazione che ti permette di mettere le cose in prospettiva e imparare a non darle per scontate, anche perché non è detto che i nostri figli faranno la nostra stessa scelta. Ciò che posso dire è che, osservandoli, si possono notare inclinazioni diverse. Noi faremo in modo di assecondare le loro passioni e, se avremo la fortuna che queste si completeranno tra loro, bene. Poi dipenderà da come noi genitori riusciremo a gestire la situazione tenendo conto delle specificità di ciascuno e cercando, nel rispetto del singolo, di alimentarle e/o sostenerle». 

È difficile essere tre donne a capo di un’azienda come la vostra?

«All’inizio non è stato facile, perché lavoriamo in un mondo di uomini. Noi siamo non solo donne, ma anche “figlie di” e questo aspetto ci ha reso le cose ancora più complicate, perché ci è stato chiesto di dimostrare in maniera ancora più netta il nostro valore. Penso però che lo studio e l’applicazione ci abbiano aiutato molto. Quando lanciammo “Intrecci”, percepimmo intorno a noi molto scetticismo, superato negli anni dai risultati ottenuti. Ed è proprio grazie a ciò che la nascita della Fondazione è stata percepita in modo completamente diverso, perché supportata dal precedente risultato positivo».

Un’ultima domanda. Cosa simboleggia il vostro marchio?

«È la tavola dei quattro elementi di Aristotele, perché ci è piaciuta l’idea dell’intreccio che lega i membri della nostra famiglia».

Pinuccia Parini

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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