Mercati sempre più interconnessi

Il concetto di disruption non è sempre facile da comprendere e definire, specialmente sul piano più concreto delle scelte di investimento. In generale, spesso viene identificato con le nuove tecnologie utilizzate da aziende che rivoluzionano completamente modelli di business ed equilibri in un determinato settore. Il caso di Amazon e dell’e-commerce in generale rappresenta forse l’esempio più conosciuto, così come tutto ciò che ricade sotto l’ombrello del fintech. In realtà, spesso il pubblico degli investitori si focalizza soprattutto sugli aspetti più appariscenti dei processi di disruption che sono concentrati in ambito consumer. Temi che in gran parte entrano nei portafogli tramite le maggiori e più conosciute azioni growth, cioè a forte crescita, del pianeta. Questo tipo di titoli, che ha procurato talora enormi guadagni agli investitori, anche in fasi molto difficili, come la pandemia, ha ovviamente richiamato l’attenzione del grande pubblico.

Limitarsi a un simile approccio non sarebbe, però,  particolarmente saggio, in quanto ciò cui stiamo assistendo in questi anni è un cambiamento totale di quasi ogni forma di business. Pensiamo, ad esempio, al settore farmaceutico, dove una serie di tecnologie, in particolar modo nell’oncologia, sta rivoluzionando il concetto stesso di farmaco e sta acquisendo un ruolo sempre più importante in quasi tutto il mondo, dove l’invecchiamento della popolazione sta rendendo necessarie cure sempre più sofisticate. In questo ambito, a portare avanti i progressi tecnologici sono soprattutto aziende di piccole e medie dimensioni, il cui modello di business si basa sulla cessione in licenza dei propri prodotti o direttamente sul fatto di essere successivamente acquisite da gruppi più grandi. Tutto ciò implica un profondo processo di adattamento da parte del sistema finanziario che deve essere in grado di fornire capitali a questo modello di ricerca, gestirne gli innumerevoli rischi e intermediare infine l’integrazione con i colossi del settore.

In tutt’altro contesto, anche il fintech presenta aspetti simili con una serie di servizi rivoluzionari portati avanti da start-up che si sono affacciate sul mercato da pochi anni e che, inevitabilmente, vanno a confrontarsi, scontrarsi e ancora più spesso integrarsi con i protagonisti tradizionali del settore. La rivoluzione cui stiamo assistendo nell’area consumer non sarebbe dunque possibile senza una serie di radicali trasformazioni a livello b2b, spesso non completamente comprese dagli investitori. Talora sfugge ai più il grado di complessità di cui è impregnato il comparto dell’information technology, dove centinaia di produttori di componenti di macchinari e di fornitori di servizi offrono l’impalcatura alle app e ai dispositivi hardware più popolari del mondo.

Un esempio pratico di ciò di cui stiamo parlando può essere trovato fra le piccole e medie capitalizzazioni giapponesi, tra le quali operano dozzine di fornitori di componenti e tecnologie chiave che sono sulla cresta dell’onda in tutto il pianeta, come i semiconduttori e le batterie per auto elettriche. Solo negli ultimissimi anni gli investitori attivi e gli istituzionali sono tornati a guardare con interesse a questo comparto dell’azionario globale che ha un ruolo sempre più fondamentale, nonostante la scarsa visibilità, e, peraltro, presenta valutazioni decisamente interessanti. Nell’ultimo quinquennio, infatti, gli investitori sulle borse asiatiche hanno preferito concentrarsi sui colossi cinesi, coreani e taiwanesi. Il fenomeno appare particolarmente vistoso se ci spostiamo negli Stati Uniti, dove le grandi piattaforme della rete (Google, Facebook, ecc.) hanno raggiunto capitalizzazioni mostruose, grazie al fatto di presentare caratteristiche praticamente uniche nella storia. Si tratta di aziende che sono quasi dei monopoli, ma presentano margini di crescita ancora ingenti per il futuro.

Tutto ciò ha non solo portato alla più lunga sovraperformance di temi growth rispetto al value, ma anche a un minore interesse verso le piccole e medie imprese e a una concentrazione straordinaria delle performance di alcuni indici, come l’S&P 500, in pochi titoli che hanno raggiunto valutazioni enormi anche al netto di previsioni di crescita elevatissime. Con un quadro del genere, si apre una sfida molto interessante per l’industria dell’asset management. Nei prossimi anni è lecito attendersi su quasi tutti i mercati performance comunque meno elevate rispetto a quanto registrato nell’ultimo decennio, pur passando in mezzo a crisi e fasi di volatilità acuta, che tornerà periodicamente a essere protagonista dei mercati a causa anche di inevitabili fallimenti e ritardi nell’adozione di nuove tecnologie.

In un contesto di questo genere sarà di nuovo centrale il ruolo dei gestori, anche senza immaginare profondi movimenti di rotazione settoriale. L’industria del risparmio gestito e della consulenza può dunque diventare la piattaforma che racchiude e coordina tutta una serie di competenze necessarie per comprendere la filiera della disruption nel profondo e trasmettere ai risparmiatori i vantaggi finanziari che i nuovi trend produrranno.

Come dicevamo, quando ci troviamo di fronte a un farmaco, a un’app, a un servizio cloud, spesso non ci rendiamo conto che si tratta di un pacchetto costituito da moltissime componenti, che a loro svolta sgorgano da innovazioni tecnologiche con applicazioni tra le più disparate. In un simile processo, un altro aspetto fondamentale dell’asset management è destinato a mutare profondamente: la gestione del rischio. Infatti, i tradizionali strumenti quantitativi di profilazione del rischio utilizzati finora per valutare prodotti del risparmio gestito corrono il pericolo di diventare rapidamente obsoleti.  Ad esempio, i cambiamenti tecnologici in atto hanno riacceso tensioni politiche non da poco, di cui la guerra commerciale fra Usa e Cina è solo il caso più clamoroso. Questi scontri vanno a incunearsi proprio lungo quella filiera di componenti e servizi accessori che costituiscono l’ossatura e il nerbo delle grandi infrastrutture tecnologiche. Pensiamo agli standard adottati per i network di telecomunicazione 5G, nati appunto da un compromesso molto difficile e tuttora instabile fra le due grandi potenze planetarie o all’imposizione da parte degli Stati Uniti a un gruppo come Tsmc, leader assoluto nella fabbricazione di microchip, di non lavorare con Huawei, la società cinese chiave nella tecnologia 5G. Si tratta di elementi che non sono facilmente valutabili con i mezzi tradizionali utilizzati finora.

Per potere cavalcare la disruption del futuro sarà necessario riuscire a incorporare nella gestione di un prodotto finanziario i rischi collegati a interi paradigmi, soprattutto culturali, che stanno cambiando. Si tratta di mutamenti che stanno provocando reazioni a tutti i livelli, incluso il piano politico. Non è infatti improbabile che, nei prossimi anni, assisteremo all’ascesa di nuovi comparti e relativi universi investibili, che oggi neppure esistono. Basti pensare che ormai si trovano sui listini  prodotti dedicati alle aziende che si occupano di e-sport e di e-learning, quest’ultimo un segmento che vanta ormai oltre 250 società quotate in borsa a livello globale. L’asset management del futuro richiederà dunque doti persino di fantasia nell’immaginare come potremo vivere da qui a pochi anni, insieme alla capacità di riuscire a modellare in termini rigorosi i rischi derivanti dallo scontro di interessi contrastanti, le tensioni e le resistenze di ogni tipo destinati inevitabilmente a sorgere dal magma di un mondo che promette di risultare da qui a poco irriconoscibile.

Boris Secciani

Boris Secciani

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Responsabile Ufficio Studi Fondi&Sicav

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