Un boom che viene da lontano

Pochi temi di investimento nella storia dei mercati hanno ricevuto l’attenzione che viene oggi tributata all’intelligenza artificiale (Ai): infatti, in questo 2023, soprattutto a partire da marzo, l’interesse spasmodico per questo settore ha trascinato l’azionario americano a sovraperformance rispetto al resto del mondo come non si vedeva da anni, nonostante una situazione economica generale incerta.  Il tutto appare ancora più fenomenale se si pensa al continuo rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve e della Bce, poiché, generalmente, un ambiente caratterizzato da un crescente costo del denaro non favorisce le azioni growth. Questo scoppio di popolarità, a livello persino di media generalisti, è stato indotto dalla diffusione dell’uso dei cosiddetti modelli generativi come ChatGpt e altri. La capacità di interagire quasi come se si interloquisse con un umano e il fatto di potere generare immagini e contenuti audio-video con semplici istruzioni testuali hanno colpito la fantasia di moltissime persone. Ciò che però è particolarmente interessante, in un’ottica di investimento, è l’immenso oceano di opportunità economiche che questa rivoluzione potrebbe innescare.

Consigliabile il condizionale

Va innanzitutto precisato che, in questo ambito, l’uso del condizionale è tuttora consigliabile, perché non sarebbe la prima volta, nella storia del capitalismo, che le promesse di trasformazione epocale da parte di qualche tecnologia mirabolante non vengano mantenute. Peraltro, la stessa intelligenza artificiale vanta una storia a livello di ricerca, applicativi e presenza nei portafogli degli investitori, vecchia di decenni. In questo lasso di tempo, si sono succedute fasi di boom e di fuga degli investitori intensissime, durante le quali, comunque, il progresso non si è mai fermato.  Da questo punto di vista, però, nonostante varie recessioni anche molto dure (pensiamo, ad esempio, alla pandemia di Covid), nell’ultimo decennio in questo settore non si è avuto alcunché che potesse essere definito come una vera e propria crisi. Tesi che, ad esempio, non si può sostenere parlando di altri segmenti legati all’It, quali le criptovalute o i social network. L’Ai, dunque, sembra decollata verso la maturità e, finalmente, il suo impatto sul Pil globale potrebbe diventare rilevante.

Per tentare di capire la direzione futura di questo immenso ambito di studi, conviene fare una breve panoramica dei concetti fondamentali e della storia dell’intelligenza artificiale. Innanzitutto, con questa definizione ombrello si intende l’elaborazione di modelli e tecniche computazionali in grado di risolvere problemi in maniera simile a come fa il cervello umano. Di conseguenza, l’Ai è un comparto multi-disciplinare che abbraccia la matematica, la statistica e le scienze informatiche. La sua data di nascita viene fatta risalire alla metà degli anni ‘50, anche se è a partire dagli anni ‘80 che i passi in avanti cominciano a diventare rapidi e imponenti. In particolare, a segnare una svolta è il big bang dei cosiddetti modelli di deep learning, sistemi estremamente complessi di apprendimento per risolvere vari compiti che spesso sono riuniti sotto il termine ombrello di “reti neurali”.

Un campo di ricerca vastissimo

Quest’ultimo nome fa intuire l’intento di cercare  di imitare il comportamento dei nostri neuroni in una serie di campi che comprendono il riconoscimento e la classificazione delle immagini, l’analisi del testo per vari scopi e la previsione di varie tipologie di dati, tra i quali i rendimenti futuri degli investimenti. A tale riguardo, conviene accennare brevemente ai principali paradigmi dell’Ai. L’approccio più diffuso rientra nel cosiddetto “supervised learning”, in cui la rete neurale viene addestrata su una grande quantità di dati già etichettati per riuscire a capire come classificare un data set nuovo. Un tipico problema, in questo campo, è assegnare a una categoria specifica, fra quelle che fanno parte di un novero definito precedentemente, una serie di immagini. Nel “supervised learning” rientrano anche problemi di previsione numerica, nei quali un tot di variabili, definite in base a una serie di caratteristiche numeriche o qualitative, viene impiegato per stimare il livello di un’altra variabile; in tal caso in gergo tecnico si parla di “regressioni”.

Esiste poi, all’opposto, un approccio nel quale i dati non vengono etichettati, ma, ciò nonostante, grazie all’intelligenza artificiale, si riesce a identificare alcuni pattern che consentono, essenzialmente, di individuare similitudini e divergenze all’interno del proprio database. Lo scopo tipico, in questo caso, è dividere quest’ultimo in una serie di insiemi (definiti “cluster”) privi di etichette, i cui membri, però, sono fra loro relativamente vicini in base ad alcuni criteri scelti dal nostro modello. In questo caso, si parla di “unsupervised learning”. 

Vi è, inoltre, un terzo ambito dell’intelligenza artificiale, chiamato “reinforcement learning”, nel quale ciò che si tenta di fare è istruire l’algoritmo a prendere una decisione ottimale per ottimizzare un nostro obiettivo in un determinato ambiente. In questo segmento, ad esempio, rientrano le reti neurali che riescono a giocare ai videogiochi, spesso con capacità maggiori rispetto agli esseri umani.

Alcuni paradigmi intermedi

Vi sono, infine, alcuni paradigmi intermedi fra quelli esposti: tra questi, il “self-supervised learning”, che è orientato a risolvere problemi di classificazione e regressione, utilizzando, però, dati non etichettati, o il “semi-supervised learning”, nel quale gli input già classificati sono pochi e si tenta di attribuire un’etichetta agli altri, ad esempio guardando in quale “cluster” ricadono e quali elementi etichettati sono presenti in esso. In questo spettro intermedio si collocano i modelli generativi che sovente possono essere fatti rientrare nell’alveo “self-supervised”.

Questo breve excursus aiuta a mettere a fuoco i contorni di un mondo in continua trasformazione, dove le attività di ricerca e sviluppo ricoprono un ruolo essenziale.
Tuttavia, gli investitori devono tenere a mente una questione fondamentale: passare dall’innovazione pura e semplice a un prodotto o servizio disponibile sul mercato richiede una serie di operazioni che molto spesso non vanno a buon fine. Occhio, dunque, ai facili entusiasmi nel salutare l’avvento di rivoluzioni epocali: esse, infatti, potrebbero non arrivare mai sul mercato. Tuttora, infatti, non si scorge con chiarezza all’orizzonte come i nuovi applicativi che hanno avuto tanto impatto mediatico potrebbero generare profitti. Il rischio, infatti, è di trovarci oggi in una riedizione dei tardi anni ‘90, con la prima ondata di aziende internet che è finita con uno dei mercati orso più brutali della storia.

L’intera economia impattata

Per il momento, dunque, conviene mantenere un atteggiamento razionale e individuare in quali campi l’impatto dell’Ai è già una realtà significativa. Innanzitutto, il segmento più immediato cui viene spontaneo pensare è la profilazione dei consumatori, soprattutto in ambito e-commerce ed entertainment: in questi settori sono evidenti le ricadute sui modelli di diffusione pubblicitaria. Si tratta di un terreno già esplorato da decenni, dove però l’attuale processo di innovazione è palpabile, innanzitutto in alcuni grandi mercati emergenti. Queste economie, infatti, per la prima volta stanno vedendo l’emersione non solo di una robusta classe media, ma anche di una nuovissima classe di consumatori che precedentemente veniva completamente ignorata dalle rilevazioni ufficiali e le cui abitudini erano in gran parte sconosciute. Si tratta di una nuova miniera d’oro di dati la cui interpretazione richiederà un approccio ad hoc, anche per potere focalizzare le principali caratteristiche culturali di questo enorme insieme. 

Inoltre, l’immenso comparto della salute è oggi forse quello più dipendente da questa tecnologia. Le soluzioni Ai offerte innervano i processi di diversi passaggi di ciò che forma un sistema sanitario: dalla diagnostica alla gestione amministrativa, dal supporto nella creazione di nuove molecole ai test necessari all’approvazione di nuovi farmaci. Si tratta, inoltre, di un tema destinato ad acquisire una centralità economica e politica sempre maggiore in futuro. Infatti, l’invecchiamento della popolazione, combinato con la diffusione del benessere a livello globale e di alcune abitudini malsane correlate al fenomeno, rischiano di portare a un’esplosione dei costi sanitari, insostenibili sia dai privati, sia dai governi. 

Aiuti cruciali

L’Ai, ancora, può fornire alcuni aiuti cruciali in termini di aumento della produttività. Quest’ultimo concetto coinvolge di fatto ogni ambito nel quale vengono applicate queste tecniche statistiche, anche perché esse rispondono a una necessità sempre più urgente. Da decenni l’economia globale vede una diminuzione dell’incremento della produttività, tanto da fare temere una stagnazione secolare.

Vi è poi il mare magnum dei servizi finanziari: un macrosettore in continua espansione, ma anche sottoposto a una crescente pressione competitiva e sul piano dei regolamenti. La banca o la società di consulenza del futuro dovrà fornire servizi sempre di più basati su soluzioni deep learning, per semplificare diverse funzioni di back e middle office, oltre che per comprendere le necessità dei propri clienti esistenti e potenziali. Il consulente del futuro, ad esempio, dovrà essere in grado di utilizzare l’intelligenza artificiale per gestire meglio una quantità maggiore di clientela, rendendo economicamente profittevoli anche fasce dalle non enormi disponibilità, come quelle dei millennial e della generazione Z. Da questo punto di vista, la concorrenza generata dalle fintech rappresenta una sfida che può essere vinta solo con un salto culturale e tecnologico che si può certamente definire epocale. L’advisor di domani dovrà annoverare fra le proprie competenze anche quelle che sono oggi appannaggio di chi si occupa di data science.

Di fronte a cambiamenti così rapidi, stimare con una serie di numeri quale potrebbe essere la ricaduta sul Pil dell’intera economia dell’intelligenza artificiale è probabilmente un esercizio futile. Alcune previsioni, però, si possono abbozzare: non pochi analisti e investitori istituzionali prevedono un impatto cumulato, da qui a un decennio, di circa 7 mila miliardi di dollari. Si tratta di un valore gigantesco, che è quasi il 7% del Pil globale del 2022. È bene però rimanere consci che si tratta di un ammontare caratterizzato da un intervallo di confidenza probabilmente amplissimo. La realtà, infatti, potrebbe portare a un’esplosione molto maggiore, così come a un gigantesco buco nell’acqua, le cui conseguenze peserebbero sui portafogli per diversi anni. Dall’altra parte, però, l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare la maggiore fonte di alfa per il prossimo decennio. 

Dalla parte di chi vende pale

Infine, non va dimenticata una regola che vale un po’ in tutte le grandi trasformazioni sui mercati: in ogni corsa all’oro, coloro che invariabilmente realizzano i migliori affari sono i venditori di pale e varie attrezzature per la ricerca del tesoro. L’equivalente nell’Ai può essere identificato in quei gruppi tecnologici incentrati sull’offerta di servizi infrastrutturali necessari per la mole enorme di calcoli. Non a caso l’alfa di Wall Street nel 2023 si è concentrato sui giganti hi tech particolarmente competitivi nei microchip più avanzati e nei servizi cloud. Si tratta di comparti che stanno vivendo una seconda giovinezza, dopo che si cominciava a temere l’avvio di una loro fase di maturazione: hanno realizzato tassi di crescita neppure paragonabili a quelli di meno di un decennio fa. Invece, lo scoppio di ChatGpt ha portato oggi a un fenomeno che nell’Ai non si era finora mai visto: il suo uso di massa. Infatti, questo servizio in meno di un anno ha superato la soglia di 100 milioni di utenti, uno scoppio di popolarità inusitato anche per gli standard dell’era internet. 

Boris Secciani

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Responsabile Ufficio Studi Fondi&Sicav

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