Una leggenda nel cuore di Milano

Il brand Serapian, un classico nella pelletteria di qualità, racchiude la storia di tre generazioni di una famiglia che ha saputo scrivere negli anni «un racconto fatto di bellezza, eccellenza e alta artigianalità italiana». A parlare di questa società è Giovanni Nodari Serapian, che lavora nella Maison in qualità di responsabile servizi su misura e patrimonio storico e che spiega quali sono gli ingredienti che hanno trasformato un marchio in una leggenda. 

Quando e come nasce la Maison Serapian?

«La Maison Serapian nasce nel 1928, fondata da Stepan, mio prozio, arrivato in Italia agli inizi del ‘900 dall’Armenia. Se ha letto “La masseria delle allodole” di Antonia Arslan, troverà molte analogie con la storia della mia famiglia. La vicenda di Stepan Serapian in Italia iniziò a Venezia e precisamente all’isola di San Lazzaro degli Armeni, dove, insieme al fratello Aramays, venne accolto da una congregazione di preti mechitaristi. Il monastero, però, non poteva ospitare entrambi gli orfani e fare loro proseguire gli studi, per questioni di carattere meramente economico. Fu indubbiamente una situazione drammatica: a due giovani fratelli che avevano perso la loro famiglia veniva chiesto di separarsi. Stepan decise di lasciare l’opportunità al più piccolo Aramays e si trasferì a Milano, dove iniziò a lavorare per la Motta, entrando così in tutto e per tutto nello spirito milanese dell’epoca».

Stepan allora era ancora molto giovane; non deve essere stata una scelta facile…

«È vero, ma mi è sempre stato descritto come una persona determinata, inventiva ed espansiva, capace di interagire con chiunque. Non avendo soldi per permettersi la propria abitazione, andò a vivere con due sorelle che cucivano le tomaie per le scarpe: fu il primo incontro con il mondo della pelle. L’intraprendenza, le capacità e la verve creativa gli permisero, nel 1928, di fondare la sua pelletteria, le cui prime produzioni furono portafogli con la forma di animali. Iniziò così, come spesso accadeva in quei tempi, a disegnare, produrre e commercializzare questi prodotti, muovendosi per le strade di Milano in bicicletta. L’attività cominciò a crescere e a espandersi al di fuori del capoluogo lombardo, sino ad allargarsi all’Italia, ma le dimensioni rimanevano sempre molto artigianali. Fu durante la Seconda guerra mondiale che avvenne un grande cambiamento. Una delle sue affezionate clienti, Gina Flori, originaria di Montecatini, costretta a sfollare dalla sua città a causa del conflitto in corso, arrivò a Milano, dove l’unica persona che conosceva era appunto Stepan, con il quale la legava la commercializzazione dei portafogli. L’incontro tra i due diede vita alla tempesta perfetta: l’estro e l’espansività del creatore si unì, attraverso Gina, alla conoscenza della produzione della pelletteria toscana. Grazie a questo connubio, Serapian divenne un’azienda vera e propria: fu l’inizio di una lunga storia che continua tuttora. Nacque il primo atelier a Milano, venne aperto un negozio e furono assunti i primi artigiani. Insieme al fiorire dell’attività, sbocciò anche l’amore tra Stepan e Gina: insieme all’impresa crebbe anche la famiglia Serapian».

È una bellissima storia che si tinge dei colori di una favola. Ha mai conosciuto i suoi prozii?

«È un racconto che sottende tante storie di successo imprenditoriale. Io ho conosciuto solo Gina, che, dopo essere entrato in azienda, mi ha introdotto all’attività ed è stata per me una vera e propria maestra».

Come cresce la Maison negli anni del dopoguerra?

«Negli anni ’50, in Italia, come nel resto d’Europa, era il momento della ricostruzione e della rinascita. Nel nostro Paese, allora, era molto attiva Cinecittà che attirava attori, attrici, registi e sceneggiatori da ogni parte del mondo. A quei tempi, quando qualcuno voleva acquistare un oggetto di pelletteria di alto livello, poteva disporre solo di tre o quattro brand che avevano queste caratteristiche e molti sceglievano Serapian. E così il marchio divenne famoso anche oltre oceano. Non è infatti casuale che molte celebrità di Hollywood decisero di farsi fotografare con una borsa della Maison, non solo per l’elevata artigianalità, ma anche per la sua unicità. E proprio alla fine degli anni ’60 scoppiò un’altra tempesta perfetta».

Che cosa accadde?

«Allora i brand del lusso erano molto focalizzati sulla loro occupazione principale, come gioielli, abiti, scarpe. Queste grandi case capirono che la pelletteria poteva diventare per loro un business molto importante nel futuro e decisero di rivolgersi a Serapian per disegnare le loro collezioni. È in questo momento che l’anima della Maison si divise in due: oltre che per il proprio marchio, cominciava anche l’attività di disegno, sviluppo e produzione per terzi. Mentre avveniva questo grande cambiamento, nel 1967 il fondatore morì e le redini dell’impresa passarono a mio zio Ardavast. Il nuovo modello di business dell’azienda permise di ingrandire in modo considerevole la divisione produttiva, ma anche di ampliare il know how. Infatti, sino a quel momento, Searapian era stato un marchio associato alle borse da donna, ma in questa seconda fase di crescita i clienti chiesero di ampliare l’assortimento anche a borse da viaggio e per uomo. Nacque così un complesso di conoscenze tecniche e artigianali, che è uno dei più completi nel mondo della pelletteria, con il quale Serapian realizzò dal piccolo portachiavi al grande baule portagioielli, utilizzando tessuti, pelle e materiali esotici».

Negli ultimi anni come è cambiato l’azionariato della società?

«Nel 2017 c’è stata l’acquisizione del 100% da parte del gruppo Richemont e io sono l’unico della famiglia ancora attivamente impiegato nell’azienda».

Come nascono i singoli progetti?

«Anche questo è un elemento distintivo della nostra attività. Poiché la sede iniziale dell’impresa è stata Milano, dove il pubblico femminile è particolarmente esigente e ricercato, con la necessità di distinguersi, bisognava soddisfarne le esigenze. Ciò fece sì che i nostri servizi su misura divenissero molto attivi, con forti elementi di personalizzazione. Oggi, come allora, questa predisposizione ci permette di intercettare i gusti dei clienti e realizzare dei pezzi unici che diventano parte integrante della nostra collezione. Un esempio sopra tutti è la “Secret bag”, che ebbe una genesi curiosa. Negli anni ’70, infatti, una signora ci commissionò una borsa con caratteristiche distintive che sviluppammo insieme, cui alla fine venne aggiunta una tasca segreta, all’interno della fodera, che poi scoprimmo serviva per nascondere le foto dell’amante. Questa borsa è riuscita talmente bene che è ancora il nostro best seller, ma nella nostra storia si annoverano molti episodi simili che potrebbero essere raccontati. Tuttora, i servizi su misura, che gestisco ancora io in quanto membro della famiglia, sono il cuore pulsante dell’azienda e continuano a crescere in un momento in cui i grandi marchi hanno omologato i prodotti in giro per il mondo. Inoltre, all’interno del nostro Dna è custodita l’esperienza e le conoscenze che sono state coltivate nel tempo. Negli anni ’60 e ’70, la famiglia era molto vicina ad architetti, pittori e designer e ciò ha generato una commistione di conoscenze e contaminazioni che hanno permesso di svolgere al meglio questo tipo di attività. È una tradizione che continua anche ai giorni nostri: non solo realizziamo oggetti di pelletteria, ma anche tutto ciò che può essere fatto con l’utilizzo della pelle soddisfacendo la creatività del cliente».

A proposito di creatività, c’è una delle vostre collezioni più apprezzate che vi caratterizza. Come è nata?

«È la collezione “Mosaico”, una tecnica di intreccio della nappa di agnello che venne disegnata e riscoperta sempre dal fondatore nel 1947. Stepan aveva due passioni: la pelletteria e i tessuti. Ed è da questo forte interesse che nacque l’idea di utilizzare il pellame come se fosse un tessuto (tecnica per altro già conosciuta) con un disegno di sapore mediorientale che richiama un mosaico. È una storia di fusione di passioni e ricordo delle proprie origini. Anche la linea “Mosaico” può essere oggetto di una realizzazione su misura all’interno di Villa Mozart a Milano, che è anche la sede dell’azienda. Qui operano tre artigiani che fanno questa lavorazione, così come avveniva nel 1947, e ci piace invitare i nostri clienti per mostrare loro come la tradizione continua. Ovviamente abbiamo a nostro supporto gli impianti di Scandicci e di Varese». 

Crede che la Maison Serapian offra un’esperienza di lusso ai propri clienti?

«A questa domanda rispondo ogni volta che il lusso è sempre molto soggettivo e penso che sarebbe scorretto dare una definizione che sia valida per tutti, perché per ciascuno di noi ha significati diversi. Per me, ed è ciò che tutti i giorni tento di raccontare e di evidenziare in Serapian, il lusso per un cliente è avere la certezza che l’oggetto che sta acquistando è stato fatto da persone che addirittura può incontrare, venendo a Villa Mozart, e, soprattutto, ritengo che il servizio offerto faccia la differenza. Mi riferisco a come una persona viene accolta in negozio, a come viene resa partecipe della storia dell’azienda. Quanti sono i casi in cui una borsa, che è stata pensata e realizzata da un atelier insieme a una cliente, sia diventata un prodotto di successo nei negozi? Il lusso credo sia un concetto intrinsecamente legato all’unicità».

E qual è l’unicità del marchio Serapian?

«Curiamo tutti i particolari all’interno della nostra filiera: dal filo per le cuciture alla colla, tutto viene prodotto in Italia da fornitori storici. Cito un aneddoto che esplicita questo concetto. Qualche stagione fa dovevamo sviluppare una confezione in un velluto damascato e, per questo motivo, ci eravamo recati in una antica tessitura in Liguria per chiedere loro di replicare un tessuto che avevamo trovato nel nostro magazzino storico. La cosa divertente fu che, una volta mostrato il campione, ci risposero che era un loro manufatto sviluppato 70 anni prima per il mio prozio. Quindi, non solo utilizzare materie prime italiane, ma essere ancorati a fornitori con una storia simile, a volte anche più lunga della nostra, ci rende unici. Così come per un cliente, e mi ripeto ancora, potere creare un oggetto unico con la famiglia fondatrice».

E come viene percepito tutto ciò dall’acquirente?

«Quando vengono alla Maison vivono la storia della nostra famiglia e, in alcuni casi, ne fanno addirittura parte; è una situazione peculiare e irripetibile. Un’altra nostra frequente iniziativa è invitare a intrecciare le borse: è un’attività che fa capire, a chi ci visita, il lavoro e la complessità presenti in un prodotto di alta pelletteria fatto in Italia. Credo che sia difficile trovare un altro brand che possa offrire una simile esperienza». 

A quale pubblico vi rivolgete?

«I nostri clienti, tipicamente, sono profondi conoscitori degli oggetti di lusso: comperano scarpe da chi fa solo calzature, indossano orologi di un marchio specializzato, usano le nostre borse e adorano che venga loro chiesto, quando viaggiano, dove hanno acquistato gli oggetti che utilizzano. Amiamo dire che sono persone che si sentono parte di uno stesso club di gente acculturata, che lavora e non ama il lusso urlato, ma riconosce la qualità».

Qual è l’età media della vostra clientela?

«L’età media va dai 30 ai 42 anni e i nostri clienti sono divisi a metà tra uomini e donne, che condividono l’amore per il prodotto artigianale. Anzi, dirò di più: le persone tra i 25 e i 28 anni sono ancora più attente a questi aspetti ed è la fascia che maggiormente richiede servizi su misura».

Potremmo dire che voi offrite ciò che in gergo si chiama “quiet luxury”?

«Direi di sì. Il giorno in cui dovessimo urlare il nostro marchio o averlo, in modo massivo, in giro per il mondo, probabilmente tutto ciò ci farebbe perdere la base di clienti che ci sono stati fedeli per anni. Non è un caso che ci sono persone che magari hanno comperato una nostra borsa 25 anni fa e oggi tornano per rifarsela identica».

Crede che se Stepan Serapian fosse ancora vivo sarebbe soddisfatto dei risultati raggiunti?

«Come ho detto, non l’ho mai conosciuto, ma posso dire che per mio zio e mia zia la fidelizzazione del cliente è sempre stata un obiettivo perseguito con grande attenzione. Quando entrai in azienda, avevo come loro, l’ufficio che comunicava con il negozio, con le porte aperte proprio per interagire il più possibile con i clienti e intercettare le loro esigenze. Oggi credo che la Maison sia entrata a fare parte di un gruppo, Richemont, che è il più consono alla nostra storia e al nostro Dna, visto anche il supporto che ci offre nel perseguire la nostra filosofia basata su un servizio su misura, molto diffuso nella sartoria, ma non così comune all’interno della pelletteria. Penso che siamo agli inizi di un percorso molto lungo ed entusiasmante».

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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