Arte, è necessaria maggiore consapevolezza

Adriano Picinati di Torcello è il coordinatore globale di Art & Finance a Deloitte. Consulente per i settori della finanza, dell’arte e della cultura, è responsabile dell’Art & Finance di Deloitte Luxembourg, iniziativa che coordina sin dall’inizio, che risale al 2008. Be Private lo ha intervistato sul tema dell’arte e dei beni da collezione in campo finanziario.

L’arte e gli oggetti da collezione devono essere considerati un’asset class di investimento?

«Non li definirei come un’asset class tradizionale, bensì investimenti alternativi esotici, che possono in generale offrire protezione al patrimonio con un ritorno sul capitale investito di sicuro interesse, se acquistati con convenienza e ben mantenuti. Ciò vale, sia per l’arte, sia per gli oggetti da collezione».

La decisione di investire in strumenti come azioni, obbligazioni, credito e strumenti alternativi si basa su parametri condivisi; certo, le decisioni di ogni singolo investitore possono essere diverse, ma c’è un linguaggio comune utilizzato per fare le valutazioni. È lo stesso nel mondo dell’arte e degli oggetti da collezione?

«Innanzitutto, va fatta una premessa. La motivazione che spinge a comperare beni d’arte o di lusso è principalmente di carattere emotivo, non per ragioni d’investimento. Riteniamo che possano essere considerati un’asset class alternativa, perché oggi esiste una serie di strumenti di misurazione per cogliere gli aspetti e le convenienze finanziarie a essi correlati che sino a 20 anni fa non c’erano. In altre parole, sono state create analisi che permettono di misurare le performance, il rischio, il ritorno e la correlazione rispetto alle asset class più tradizionali. Indubbiamente, non è possibile applicare lo stesso tipo di valutazioni utilizzate in un’analisi finanziaria su titoli azionari e obbligazionari e neppure avere strumenti a disposizione altrettanto sofisticati. Inoltre, ed è importante ribadirlo, ciò che spinge ad acquistare arte e beni da collezione non è l’aspettativa di un ritorno finanziario, bensì la ricerca di un’emozione, il desiderio di soddisfare il proprio ego o affermare il proprio status sociale. È possibile, ovviamente, che il valore di questi beni conosca un apprezzamento ed è per questa ragione che, all’interno di un patrimonio, è importante utilizzare alcuni accorgimenti nella loro gestione. Non si può, però, escludere che il bene si possa deprezzare e, in questo caso, l’unico aspetto che non si “svaluta” è il piacere di possederlo da parte di chi lo ha acquistato per passione».

Dove si reperiscono le informazioni su questa asset class?

«Dal mercato secondario e, nel caso dell’arte, dagli artisti e dalle loro opere. Ma il punto fondamentale è comprendere la qualità delle informazioni disponibili, perché la raccolta di dati errati porta a conclusioni sbagliate. Si deve sempre contestualizzare l’oggetto dell’analisi da condurre e capire gli elementi che caratterizzano un periodo artistico rispetto a un altro, così come è fondamentale distinguere tra un artista emergente e uno affermato. A tale proposito, sono stati costituiti diversi indici di riferimento, ma non vanno presi alla lettera. Devono infatti essere esaminati per comprenderne l’affidabilità e il valore di quanto espresso in una valutazione. Se si considera un “dato finanziario” sull’arte, non si può prescindere dall’approfondire la metodologia con cui è stato costruito e dalle fonti che sono state utilizzate».

Quando si investe negli asset finanziari tradizionali, ci sono parametri di riferimento attraverso i quali maturare una decisione d’investimento ex-ante. Rimanendo nel campo dell’arte, che cosa si deve analizzare?

«Nel campo dell’arte è fondamentale la conoscenza specialistica di professionisti che hanno studiato l’evoluzione della produzione di un artista: sono esperti di storia dell’arte e hanno le capacità per stabilire se uno scultore o un pittore ha valide potenzialità. In secondo luogo, non va dimenticato che il mercato dell’arte è molto eterogeneo: c’è chi ha un bagaglio di informazioni tale da comprendere che cosa succederà in futuro (inside information) e chi, invece, ne è sprovvisto».

Che cosa intende per inside information?

«Supponiamo che si sia a conoscenza della prossima mostra personale di un’artista in un museo importante; questo evento, automaticamente, ha un impatto sulla reputazione dello scultore/pittore coinvolto e, a ricaduta, sui prezzi delle sue opere. Si tratta di un esempio di informazione ex-ante, che si basa sulla conoscenza e sulle competenze. Attualmente, operano alcuni fornitori di notizie sugli artisti che aiutano a delinearne la traiettoria professionale futura. Non sono certamente evidenze scientifiche, perché nell’arco dell’esistenza di un individuo tutto può succedere, che lo fa deragliare dal proprio percorso artistico previsto, ma si tratta di informazioni estremamente utili per gli esperti che le sanno interpretare. E ce ne sono alcuni che sono veramente capaci di fare questo lavoro».

Qual è il ruolo dell’arte e del collezionismo nel wealth management?

«In primo luogo, vorrei soffermarmi sul perché l’arte e il collezionismo dovrebbero essere potenzialmente inseriti nel wealth management. Nel nostro “8th Art and finance report 2023” è emerso che ci sono circa 2,2 trilioni di dollari allocati in questi beni da parte degli ultra-high-networth-individual (Uhnwi). È una ricchezza che, da parte dell’industria del wealth management, non è particolarmente analizzata e oggetto di una serie di servizi, che sarebbero invece necessari. Si tratta di una cifra considerevole, pari a circa il 10% delle masse gestite nei mercati privati: è un ammontare cui occorrerebbe prestare attenzione. Anche se bisogna ammettere che alcuni cambiamenti hanno iniziato a prendere forma e che c’è un’evoluzione in corso che porta ad adottare un approccio più olistico nella gestione dei patrimoni per offrire un’attività di consulenza più consona ai bisogni degli Uhnwi. Tradotto in altre parole, significa considerare un patrimonio nella sua interezza, composta da investimenti tradizionali mobiliari, immobiliari, alternativi o esotici, e farlo attraverso un rapporto fiduciario. Ciò vale, quindi, anche per i 2,2 trilioni di dollari investiti in arte e beni da collezione, che devono essere seguiti con la stessa responsabilità e attenzione riservate agli altri attivi, gestiti e anche monetizzati».

C’è però la ricerca di un’emozione, come ha sottolineato, nell’acquisto di questi beni…

«È vero, è una componente presente nella maggioranza dei casi. Ma, proprio per questa ragione, confrontarsi con un cliente su una sua passione può aiutare il wealth manager a interagire con lui/lei da una diversa prospettiva. Significa, infatti, creare un rapporto che viene alimentato da elementi emozionali che lo cementano e lo fanno durare nel tempo, visto che si tratta di una relazione che, nel caso dell’arte e del collezionismo, continua per un lungo arco di anni e può riguardare più generazioni».

Ma quali servizi potrebbe offrire, in questo ambito, l’industria del wealth management?

«Nell’offerta dei servizi di wealth management, esiste una responsabilità fiduciaria di coadiuvare la gestione di questi beni attraverso servizi che riguardano la protezione del patrimonio, la monetizzazione, il trasferimento della ricchezza e anche gli investimenti. Quindi, i 2,2 trilioni, dei quali si è parlato in precedenza, necessitano di essere protetti. Ciò significa, quando si parla di arte e beni da collezione, avere le necessarie documentazioni, fare un dettagliato inventario, valutarli correttamente in modo che siano adeguatamente assicurati. Inoltre, è indispensabile considerare il patrimonio complessivo per decidere come scegliere le diverse asset class per delineare un’allocazione efficiente: occorre definire le singole componenti di un portafoglio in modo che offrano un adeguato rendimento in base al livello di rischio assunto, di cui il cliente deve essere consapevole per decidere in merito. Ciò vale in particolare per coloro che si trovano ad avere un’esposizione sbilanciata verso l’arte e gli oggetti da collezione. Non bisogna infatti dimenticare che questi beni sono, per loro natura, illiquidi. È un ricchezza “dormiente” che può essere convertita in “working asset”, ossia utilizzata come garanzia (in termini tecnici “collaterale”) a fronte dell’erogazione di una linea di credito per investimento. A oggi, sempre nel report citato, abbiamo calcolato che questo business ha una dimensione di circa 30 miliardi di dollari e avviene prevalentemente in America. Tuttavia, si badi bene, non tutte le opere d’arte possono avere questo tipo di utilizzo, ma solo quelle che hanno un valore facilmente riconoscibile». 

Per i prossimi anni, è in programma un consistente passaggio generazionale di ricchezza. Che cosa ne pensa?

«Si parla di più di  100 trilioni di ricchezza che sarà trasferita da una generazione all’altra, all’interno della quale ci sono anche le opere d’arte e i beni da collezione. Poiché questi ultimi sono spesso legati alla persona che li ha acquistati, è necessario definire una governance per la loro gestione o decidere che cosa fare qualora nessuno dei successori abbia interesse a mantenerli all’interno del patrimonio. In questo secondo caso, le strade da percorrere sono diverse e perseguirne una piuttosto che un’altra è una decisione nella quale confluiscono scelte di natura valoriale, sociale, giuridica e anche fiscale. Ci sono poi, per esempio, alcuni aspetti regolamentari, che cambiano in base ai paesi, sulla circolazione delle opere d’arte al di fuori della nazione ove sono detenuti. Ed è per questa ragione che è necessario che tutti i pezzi collezionati siano muniti di documentazione sull’origine e la provenienza, soprattutto pensando a una loro vendita futura».

Ma l’arte può essere considerata un investimento?

«Una precisazione. Se si intende per investimento l’atto di acquistare un asset perché ci si attende che generi un rendimento, allora si deve prestare molta attenzione e fare un accurato lavoro di due diligence: in  questo caso si sta parlando di un’asset class molto diversa da quelle tradizionali. In termini di prodotti finanziari che investono in arte, il numero è decisamente limitato. Ciononostante, credo sia interessante notare due tendenze che sono emerse di recente e hanno trovato consenso soprattutto tra le giovani generazioni. La prima è la proprietà frazionata, intrinsecamente legata all’innovazione tecnologica grazie all’utilizzo della blockchain e dei token. Sono nate diverse piattaforme che permettono l’acquisto parziale di un oggetto da collezionare, che sia quest’ultimo un quadro o un’automobile o una borsa di lusso. È un trend iniziato relativamente da poco e bisognerà seguirne gli sviluppi, anche se sta riscontrando un buon successo tra i più giovani, molto più vicini al concetto di “economia della condivisione”. Un’altra tendenza che si sta osservando, anche in questo caso legata al concetto di investimento, è il finanziamento nel settore della cultura non-profit e dell’industria creativa da parte di soggetti privati. Si parla, in questo caso, di social impact investing e iniziative filantropiche atte a sostenere il bene pubblico».

Rileva un crescente interesse da parte degli investitori in arte e in beni da collezione?

«L’acquisto di arte e beni da collezione è un atto guidato dalla passione e dalle emozioni, che sia legato al possesso di un oggetto, di un quadro, di una scultura o alla promozione di un progetto culturale. Non so se il termine “investitori” in questo caso sia appropriato. Ci sarà sempre qualcuno che nutrirà questo tipo d’interesse, ossia che considererà l’arte come “cultural heritage”. Quando alcune persone vedono accrescere in modo considerevole il proprio patrimonio, vogliono possedere un bene “diverso” e di solito scelgono l’arte, perché offre qualcosa di unico. Ma, tornando alla domanda, se si considerano gli ultimi 15 anni, il mercato dell’arte ha avuto un’alternanza di salite e discese, ma sostanzialmente è rimasto invariato».

Perché non è cresciuto, nonostante sia aumentata la ricchezza delle persone abbienti?

«Si è assistito a una maggiore allocazione ai beni da collezione di lusso, che puo svolgere  un ruolo di diversificazione del patrimonio. Ma la ragione di fondo, per il mercato dell’arte, è la mancanza di efficienza che non è ascrivibile solo alla sua illiquidità, ma anche alla scarsa trasparenza, alla presenza di falsi d’autore, alla limitata competenza e all’incerta tracciabilità dell’origine e della provenienza delle opere. Oggi acquistare un quadro o una scultura richiede un consistente lavoro a monte che, in qualche modo, diluisce il piacere che si prova nell’acquisto e diventa un’esperienza che perde, in parte, la spinta emotiva che l’aveva generata. Devo dire, però, che di recente la tecnologia sta venendo in aiuto a sostenere e promuovere la crescita del mercato dell’arte e ad aiutare il wealth management a incorporarla, insieme ai collectible (oggetti da collezione), nei servizi offerti». 

Ma l’industria è preparata a farlo?

«La conoscenza dell’arte e dei beni da collezione non è storicamente parte della formazione di un wealth manager, ma le cose stanno cambiando e ci sono diverse iniziative che vanno in questa direzione. Inoltre, è necessario abituarsi a muoversi in un ambito che, a differenza dei prodotti finanziari tradizionali, non è regolamentato. Infine, c’è la questione della trasparenza e del rischio, due fattori che inibiscono alcuni player a gestire questi servizi. Sono convinto che lo sviluppo tecnologico contribuirà a mitigare questi aspetti e, nel lungo periodo, aiuterà a rendere il mercato più efficiente e trasparente».

E i detentori di arte e collectible sono consapevoli di ciò che possiedono? 

«Da un sondaggio che Deloitte ha fatto, risulta che solo il 24% dei partecipanti ha bene organizzato anche questa parte del patrimonio, un dato poco incoraggiante se si pensa che questa ricchezza prima o poi sarà tramandata: la passione che guida l’acquisto di un bene non sempre è accompagnata dalla consapevolezza di quanto sia importante avere cura di ciò che si possiede, soprattutto nel caso dell’arte. Il patrimonio va protetto nella sua interezza, perché è il risultato di un’allocazione di risorse che non va inconsapevolmente dimenticata».

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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