Un nuovo paradigma: il capitalismo delle esperienze
Sempre più spesso in questi anni si è parlato di capitalismo delle esperienze. Con questo termine si intende essenzialmente uno spostamento sempre più marcato dell’economia, e soprattutto dei gusti dei consumatori, verso servizi incentrati sul piacere intellettuale, fisico e mentale. Viaggiare per visitare luoghi prima sconosciuti, o comunque poco frequentati, conoscere culture diverse, approcciarsi a forme di arte innovative e tantissime altre proposte sono solo alcune delle principali offerte del mercato in questo campo: le varianti con cui questo concetto può essere declinato sono pressoché infinite. Altrettanto frequentemente si analizza questo (relativamente) nuovo motore economico nel contesto di una sempre maggiore maturità e capacità di spesa della generazione dei millennial e di quella successiva, definita “generazione Z”.
Sovente il tono di queste analisi assume contorni allarmistici: nello specifico, viene messo in risalto che gli adulti nati nel periodo che va dall’inizio degli anni ‘80 ai primi 2000 hanno gusti radicalmente diversi rispetto ai loro predecessori, fenomeno che starebbe spingendo diversi settori verso l’estinzione. Il discorso, per quanto semplicistico, sicuramente contiene alcuni elementi di verità, anche se è necessario aggiungere diversi caveat. Innanzitutto, quanto descritto è un fenomeno che è sempre esistito e, con ogni probabilità, esisterà sempre. Al massimo, il susseguirsi e l’avvicendamento di mode e diversi stili di vita può avere subito un’accelerazione spinta soprattutto dai media digitali.
In particolare, questo paradigma di disruption viene spesso elaborato nel contesto dell’industria del lusso. Anche fra analisti e gestori specializzati nel luxury non manca chi mette in contrapposizione i segmenti tradizionali dell’alta gamma con la concorrenza di acquisti esperienziali che richiedono un elevato budget e che tradizionalmente venivano collocati nell’alveo del luxury. Anche in questo caso, sicuramente il discorso non è del tutto falso, specialmente se si considerano le incertezze su millennial e gen-Z, che si trovano ad affrontare prospettive lavorative più volatili (per quanto non necessariamente peggiori) rispetto ai propri genitori. Ancora una volta, però, non bisogna cadere nell’errore di ridurre problemi reali a caricature grottesche, che peraltro non coglierebbero alcuni degli aspetti più interessanti delle trasformazioni viste negli ultimi 15-20 anni.
Identità fluide
Per capire ciò di cui stiamo parlando, conviene partire da un esempio pratico. Immaginiamo un consumatore così definito: giovane donna sui 35 anni, dall’elevato livello di istruzione e caratterizzata da una buona solidità finanziaria. Supponiamo poi che la nostra teorica signora sia attenta alla moda, ma anche alla tecnologia, della quale ha una competenza professionale. Non è incredibile pensare che una figura con queste caratteristiche possa essere una capace e devota gamer. Le preferenze qui elencate portano a una serie di considerazioni: si tratta di un tipico potenziale cliente aspirational, probabilmente molto esigente e dal significativo, ma non infinito, budget per consumi discrezionali. Riuscire a catturarlo richiede la capacità di offrire prodotti e servizi di elevata qualità e un profondo lavoro di comunicazione. Il problema viene però reso ancora più complesso dal fatto che il profilo descritto presenta oggi diversi elementi culturali per certi versi contraddittori e che fino a poco tempo fa erano inesistenti o quasi nel mondo reale.
Fuori di metafora, la trentacinquenne che abbiamo tratteggiato si trova a decidere se comperare una borsetta dal significativo scontrino, piuttosto che allocare il suo denaro per fare l’upgrading del proprio Pc e acquistare una sedia ergonomica premium allo scopo di divertirsi nel migliore modo possibile con i videogiochi che preferisce. Una simile dinamica delinea una serie di sfide non indifferenti per gli operatori del lusso. Infatti, oggi, l’insieme delle preferenze delle classi alto-spendenti si è modificato in maniera profonda: fino a pochi anni fa, la schiacciante maggioranza degli appassionati di videogame era costituita da uomini e tipicamente non dei più sensibili alla moda. Oggi la divisione fra nerd e fashionist non ha più senso, poiché siamo probabilmente un po’ tutti entrambe le cose.
ripensare l’offerta
Di conseguenza, per competere in un mondo per molti versi nuovo e in cui la concorrenza può manifestarsi in forme molto diverse rispetto al recente passato, è necessario pensare al di fuori degli schemi. I grandi player del lusso devono perciò allargare e, soprattutto, ripensare la loro offerta. Mettere a punto prodotti raffinati, venderli all’interno di punti vendita sontuosi, comunicare e promuovere il proprio brand nella maniera più efficace oggi rappresentano il minimo indispensabile sul quale costruire un pacchetto più ampio di servizi. Ad esempio, un’importanza sempre maggiore, testimoniata da tassi di crescita notevoli, riveste il cosiddetto shopping tourism. La definizione di questo settore economico esprime in maniera chiara di che cosa si tratta: viaggi compiuti spesso con lo specifico scopo di compiere acquisti importanti una volta arrivati alla destinazione che è stata scelta o in cui, comunque, la possibilità di fare spese mirate rappresenta un fattore significativo della vacanza.
Stimolare intelletto e sensi a 360 gradi
I numeri mostrati da questa nicchia sono impressionanti: secondo i dati forniti da Shopping Tourism Italia, il numero totale di stranieri che nel 2024 ha viaggiato nel nostro Paese con la motivazione prevalente di fare shopping è risultato pari a 2,4 milioni di persone. L’incremento rispetto al 2023 è stato del 14%. Questa percentuale aiuta a meglio inquadrare il differente passo rispetto all’andamento dell’alta gamma, che ha sperimentato l’anno passato i peggiori 12 mesi dal 2009 (escludendo il 2020). L’aumento degli stimoli rivolti ai consumatori, l’evoluzione delle identità culturali in maniera imprevedibile e i mutamenti demografici sembrano indicare una precisa necessità per gli operatori di quello che è sempre più un macro-tema, piuttosto che un preciso settore: ampliare il proprio raggio di azione al di fuori delle proprie competenze core. Questa strategia, però, non è priva di rischi e si è rivelata in alcuni casi disastrosa. Va considerato, infatti, che un approccio di questo tipo non significa che, ad esempio, uno storico produttore di orologi di élite investa direttamente nel comparto alberghiero. Con ogni probabilità, però, tale azienda dovrà operare in partnership con soggetti alquanto diversi e con un’ampia esperienza nell’accoglienza per elaborare un pacchetto onnicomprensivo.
Innanzitutto, il legame fra viaggio e shopping è destinato a diventare sempre più forte, perché la base degli Hnwi (high net worth individual, individuo con patrimonio netto elevato) e degli ultra Hnwi si sta diversificando sempre più a livello geografico. Inoltre, il cliente alto-spendente deve essere conquistato con un’esperienza sensoriale a tutto tondo che si faccia largo fra la miriade di opportunità sempre più raffinate per spendere i propri soldi. Alla fine, l’elemento decisivo che potrebbe fare decidere alla signora teorica dell’esempio da noi creato di optare per un accessorio costoso della pelletteria italiana, al posto di un investimento importante in tecnologia, potrebbe essere l’attrazione per il nostro Paese nel suo complesso. All’interno di questo paradigma, peraltro, l’Italia vanta alcune eccellenze assolute, ma sconta anche difficoltà ataviche. Nello specifico, secondo la Fondazione Altagamma, il 60% del fatturato del top market generato nel Bel Paese è dovuto a stranieri in visita. In compenso, solo l’1% del parco hotel italiano è ascrivibile all’alta gamma: come spesso succede, la Penisola sconta da questo punto di vista la cronica difficoltà a fare sistema e a concettualizzare i legami che esistono fra i propri numerosi fiori all’occhiello.
L’hi tech benzina dell’esclusività
Gli elementi fin qui esposti possono essere analizzati con un’ulteriore chiave di lettura, ossia l’importanza della tecnologia lungo la filiera del lusso. Apparentemente, i due mondi sono separati e quasi opposti, data la natura artigianale del secondo, perfezionata attraverso generazioni di lavoro. In realtà, oggi luxury e hi-tech operano con una simbiosi molto profonda allo scopo di creare un’esperienza a 360 gradi per il cliente finale. Basti pensare all’enorme quantità di prodotti, come i microchip, che le automobili di prestigio incorporano. Oppure, come abbiamo visto, al fatto che l’attività di shopping è inserita sempre più in un contesto di vacanza dal budget elevato, che richiede una pianificazione estremamente sofisticata e soluzioni basate sull’intelligenza artificiale possono fare la differenza a vari livelli. Una differenza che, ad esempio, può venire dalla capacità di profilare in maniera sempre più profonda i clienti in modo da coglierne esigenze quasi impercettibili. Il ragionamento assume una valenza ancora più importante nel caso italiano. Il nostro tessuto di piccole e medie imprese può, attraverso l’Ai, mettere in comune un patrimonio di saperi che altrimenti andrebbe disperso in mille rivoli.
In conclusione, però, va chiarito un elemento: ciò cui stiamo assistendo è una profonda evoluzione, forse persino una rivoluzione, rispetto al passato. Non stiamo, però, sperimentando un completo stravolgimento che neghi ciò che è stato il lusso per secoli. In questa fase non facile per il settore, infatti, al solito a tenere meglio sono quei gruppi che siedono in cima alla gerarchia del prestigio dei propri marchi. Questa posizione non è stata però conquistata solo grazie all’eccellenza intrinseca dei prodotti che propongono, ma anche, in maniera altrettanto importante, per l’universo di percezioni che intorno a essi hanno saputo costruire.
In pratica, i re e le regine del lusso hanno sempre operato all’interno di un paradigma che oggi definiamo capitalismo delle esperienze. Proprio grazie al loro talento nel muoversi in un simile ambito, hanno conquistato un primato difficilmente scalfibile. Oggi l’effetto combinato dei mutamenti tecnologici e di costume permette, però, a tantissimi altri player di giocare allo stesso gioco, il che offre un’occasione praticamente unica di ridefinire gli equilibri. L’alternativa, probabilmente, è diventare irrilevanti o addirittura sparire.