Disegnare il comportamento delle persone
Il binomio lusso e design ha una sua valenza? Che cosa significa avere un’esperienza di lusso nella realizzazione di un’abitazione o nell’allestimento dei suoi interni? A rispondere è Michele Cozzi, architetto e designer laureato al Politecnico di Milano.
Quale importanza ha per lei il lusso in architettura?
«È una domanda complessa: conciliare i due termini, lusso e architettura, non è un’operazione immediata; sono molti gli aspetti che concorrono a creare un ambiente o un edificio e il lusso diventa importante solo per una ristretta cerchia di committenza. L’architettura oggi non può prescindere dalla necessità di interagire con una molteplicità di ambiti disciplinari: dalla psicologia alla biologia, dalla tecnologia all’arte e, non da ultimo, l’ecologia e la sostenibilità. Tutto ciò nell’umiltà dell’ascolto delle persone e della collettività».
Potrebbe elaborare questo suo concetto?
«Credo che il lavoro di un architetto oggi non debba fare riferimento alla sola architettura come disciplina: ci sono teorie e scoperte che influenzano la vita delle persone. Ad esempio, il controverso biologo cellulare Bruce Lipton sostiene che i miliardi di cellule che formano un essere umano si rigenerano condizionate dall’ambiente in cui si vive. Questa teoria è strettamente legata alla psicologia dell’abitare: ecco perché gli elementi che costituiscono un ambiente diventano fondamentali. Gaston Bachelard ne “La poetica dello spazio” afferma che “… è necessario dire come abitiamo il nostro spazio vitale, come mettiamo radici giorno per giorno in un angolo di mondo. La casa è in effetti il nostro primo universo”. Le persone devono potere vivere in spazi armonici, espressione di bellezza che non necessariamente significa lusso. L’architetto, per soddisfare pienamente il proprio committente, dovrebbe raccogliere tutte le informazioni necessarie per conoscerlo e sintonizzarsi con il suo modo di percepire e vivere. L’atteggiamento dovrebbe sempre essere improntato all’ascolto e alla curiosità».
Darwin e i suoi sostenitori non concorderebbero con Lipton. Tuttavia, perché questo pensiero l’affascina?
«Ci sono luoghi che si visitano, ma non ci si sente a proprio agio, perché c’è rumore, luci fastidiose, dissonanze che rendono la permanenza al loro interno minima per potere svolgere determinate attività. Sono spazi che, molto spesso, sono stati realizzati volutamente così per rendere il passaggio delle persone più rapido possibile, poiché questo è l’obiettivo da raggiungere. Ci sono poi ambienti che sono costruiti senza tenere conto di chi li renderà spazi vivi, che non accolgono e non sono confortevoli. Gli architetti, i progettisti creano spazi e luoghi fisici, che poi arredano; capire, predisporsi all’ascolto del cliente per comprendere come realizzare il progetto è fondamentale e non si creda che sia così semplice riuscirci. Ci vuole, come sostiene la psicologa Donatella Caprioglio, in un suo libro, un’alleanza con il cliente, che si può realizzare solo attraverso la capacità di ascoltare in modo empatico, così che il committente senta di avere all’interno della testa del professionista “una stanza metaforica vuota dove potere depositare tutti i suoi desiderata senza essere giudicato”».
Riesce a instaurare questo tipo di relazione con tutti i suoi clienti?
«Ce ne sono di diverse tipologie: c’è chi non è minimamente interessato a come un progetto verrà realizzato, ma solo al risultato finale. Resta, comunque, fondamentale creare un ambiente ben accordato all’interno del quale le persone possano salubremente “rigenerare le proprie cellule”. Perché ciò avvenga, è indispensabile creare una “intimità progettuale”. L’architetto spesso è scelto con leggerezza, cosa che non si fa, ad esempio, quando si sceglie lo specialista che deve operarci al ginocchio. L’acquisto o la realizzazione della propria abitazione sono decisioni importanti nella vita di una persona, di un gruppo familiare; comportano uno stress psicologico e un impegno economico. Proprio per queste ragioni è essenziale che la relazione tra professionista e cliente sia, non solo solida, ma anche profonda. Si tratta di compiere un percorso insieme».
Se dovesse ricevere da una cliente la richiesta di realizzare una casa che rappresenti, ad esempio, il suo successo come imprenditrice, come si comporterebbe?
«La condizione di partenza è sempre l’approccio progettuale che deve avvenire come detto in precedenza. Se non ho creato con lei nessuna intimità intellettuale, il risultato potrebbe essere, ad esempio, di utilizzare un materiale che, per quanto raro e pregiato, le crea sensazioni spiacevoli e, di conseguenza, sfavorevoli all’abitare. Per chi desiderasse rappresentare anche attraverso la casa il suo successo professionale questa esigenza può essere ben concretizzata attraverso un progetto luxury o quiet luxury».
Che cosa è il “luxury design”?
«è una tendenza: non essendo una corrente artistica o un movimento architettonico, ognuno dà una sua definizione e interpretazione. Il fine è rappresentare il lusso negli ambienti. Esso è caratterizzato dall’utilizzo di materiali di elevata qualità come marmi, legni pregiati, tessuti di alta qualità e accessori artigianali, combinati con tecnologie innovative. Gli arredi custom made, o su misura, sono fondamentali in un progetto luxury, poiché consentono di creare spazi unici e personalizzati. Ma, a questo punto, ritengo che si debba fare un passo indietro e chiarire che cosa si intende quando si usa la parola “design”».
In che senso?
«Dal mio punto di vista, il “luxury design” è quasi un ossimoro. Design è una parola inglese che si può tradurre con la parola “progetto” che significa la cura che si ha di sé, delle altre persone e del mondo. Tutti noi facciamo ogni giorno dei progetti e il fine ultimo è tendere a migliorare la qualità della vita degli individui e dell’ambiente circostante. Progettare deriva dal latino e significa gettare avanti: quindi, progettare è avere consapevolezza del presente e immaginare un futuro in cui realizzare le proprie idee.È un approccio alla soluzione dei problemi e le persone, secondo me, confondono troppo spesso il design con lo styling. Il design è responsabilità, un contributo che, oltre al valore di utilizzo, ha anche una valenza sociale».
Perché lega il design alla responsabilità? Sono apparentemente due concetti lontani.
«Ogni oggetto che si produce necessita un impiego di energia, occupa uno spazio nel mondo e assorbe risorse: sono tutti fattori ai quali prestare particolare attenzione, visto il momento che la terra e i suoi abitanti stanno vivendo. Fare design significa innovare, avere cura dei materiali utilizzati, della tecnologia impiegata, dell’impatto sensoriale e della psicologia degli individui. Pensare al “fine vita” dell’oggetto, se non è un prodotto durevole e di qualità. È un processo lungo, completamente diverso dallo “styling”, che si esaurisce nel modificare, ad esempio, un semplice dettaglio di un mobile: un anno le gambe di un divano sono sottili, il successivo sono più panciute. Il mondo ha bisogno di questo “nuovo” divano?»
Prima ha parlato di quiet luxury; esattamente, di cosa si tratta?
«Quiet luxury è una locuzione e una tendenza che, rispetto al luxury design, apprezzo di più; nasce nel mondo della moda come contrapposizione all’indigestione della logo-mania che imperversava e ha trovato espressione in capi estremamente costosi, con colori quasi neutri, di semplicità raffinata e senza alcun marchio esposto. Si tratta, però, di una tendenza, che non è diventata una corrente artistica, che nell’interior si contrappone al massimalismo del “luxury design”, imperante nei social media negli ultimi anni. In entrambi i casi, il “fatto su misura” è centrale, ma gli ambienti che si creano sono diversi. Il “quiet luxury” si avvicina più al minimalismo, di cui possiamo definirlo un lontano parente per il sistema di valori cui sottende. è espressione di un lusso silenzioso fatto di linee pulite, palette di colori contenute e di materiali di altissima qualità. Il custom made offre un grado di esclusività e unicità che non si trova nei mobili di produzione industriale. La progettazione è determinante: le proporzioni, la trascuratezza anche di dettagli minimi non possono essere nascoste. Non basta “vestire” gli ambienti di costosi brand del lusso e marmi pregiati. Stiamo parlando di una ricchezza sussurrata …»
Il vocabolario Treccani definisce il lusso come lo “sfoggio di ricchezza, di sfarzo, di magnificenza; tendenza a spese superflue, incontrollate, per l’acquisto e l’uso di oggetti che, o per la qualità o per l’ornamentazione, non hanno un’utilità corrispondente al loro prezzo, e sono volti a soddisfare l’ambizione e la vanità più che un reale bisogno”. Tuttavia, non ritiene che la relazione tra cliente e architetto/progettista/interior designer, così come da lei concepita, sia di per sé definibile un’esperienza di “lusso”?
«Certo la definizione di lusso della Treccani conforta la mia convinzione che lusso e architettura non concordano. Non saprei se definirla in questo modo sia o meno corretto. Posso però affermare che realizzare un’abitazione è vivere un’esperienza insieme con il committente. Disegno sempre i mobili delle case che progetto, perché i clienti, dopo avere visitato alcune esposizioni, preferiscono averli realizzati su misura. Il prodotto diventa in questo caso esclusivo, non necessariamente per l’impiego di materiali costosi, ma perché pensato per i bisogni di una specifica persona: è il risultato di un impegno congiunto la cui realizzazione viene seguita passo a passo. Abitare gli spazi e farlo sentendosi a proprio agio richiede sì lo studio di una planimetria, ma soprattutto occorre comprendere come quegli ambienti possano essere vissuti dagli individui in modo esclusivo».
Mi scusi la prosaicità, ma farsi disegnare una cucina su misura, non è un lusso?
«Direi che è un’esperienza che permette di realizzare qualcosa di unico e forse può diventare, per così dire, un “lusso” poterla disegnare in base a ciò che la rende intima e confidenziale. Sempre per citare G. Bachelard: “Non è forse bella la casa più modesta se la guardiamo dal punto dell’intimità?” Realizzare e arredare uno spazio secondo questi dettami è acquisizione di competenza e accortezza per il progettista che deve mettere a disposizione la propria conoscenza e sensibilità per creare contesti che esprimano la personalità di chi li ha commissionati, senza che ciò vada a discapito della funzionalità e dell’equilibrio».
Una curiosità. Se si visitano delle case da lei disegnate, si trovano alcuni tratti che le rendono riconoscibili?
«È la percezione che le rende riconoscibili, non ciò che si vede. Mi capita di fare case con diversi stili, da quello parigino al brutalismo, in base alle richieste ricevute dai clienti. Si figuri che tempo fa ho dovuto arredare una villa in stile marocchino sui colli bergamaschi… Ciò che penso li accomuni è la sensazione di benessere che si può provare quando si è al loro interno, indipendentemente dal fatto che possa o meno incontrare i propri gusti. Certamente questa è un’affermazione importante, ma diciamo che è ciò cui tendo: credo che nel realizzare un progetto si debba fare in modo che esprima bellezza nel senso più ampio del termine, non in quello strettamente estetico. Non tendo a mostrare le case che ho realizzato, perché ciascuna ha una propria narrazione ed è abitata da persone che hanno la propria storia. Considero il rapporto con ogni cliente esclusivo, perché la sua casa possa essere unica, frutto della complicità che tra noi si viene a creare. Quando visito un’abitazione da me realizzata, anche dopo qualche anno, e percepisco che è vissuta con amore, sento di avere fatto bene il mio lavoro. Progettare non è solo scegliere forme, colori e materiali, ma disegnare i comportamenti delle persone».