Lusso, un anno difficile, ma tanti cambiamenti

Il 2024 è stato per il lusso un anno difficile: secondo il rapporto annuale di Bain-Altagamma Luxury Goods World Wide Market Study, per la prima volta dal 2008 (per ovvie ragioni, viene escluso dalla serie il 2020) si è registrato nel 2024, nel variegato insieme di imprese che rientrano nella definizione di lusso, un calo del fatturato a livello mondiale, con una discesa del 2%: è passato da 387 miliardi di dollari nel 2023 a 381 l’anno scorso.

Le ragioni alla base di questo movimento sono molteplici. Innanzitutto, va ricordato che ogni settore va fisiologicamente incontro a periodi negativi e tale affermazione è particolarmente ragionevole se riferita a un comparto che, prima della recente battuta d’arresto, aveva vissuto un triennio eccellente. Il periodo delle riaperture post Covid, infatti, aveva fatto esplodere ciò che gli analisti chiamano revenge spending, ossia il desiderio di aumentare i consumi dopo uno shock economico avverso. Inoltre, la ripresa congiunturale è andata a sovrapporsi a un trend secolare già decisamente positivo: il triennio ha mostrato una progressione impressionante con un livello di spesa globale in beni e servizi di fascia elevata che due anni fa è stato superiore per circa il 30% a quanto si è visto nel 2019. In pratica, nessuna crescita si sviluppa in maniera lineare e le recessioni costituiscono un evento normale da mettere in conto.

Perciò è miracoloso che il calo sia stato così contenuto, data la situazione difficile dei consumatori in Cina: la Repubblica Popolare, infatti, da sola detiene circa un terzo della quota di mercato globale delle vendite del luxury. La seconda economia del mondo, però, ha sperimentato qualcosa che si avvicina a una tempesta perfetta: le famiglie locali detengono circa tre quarti della loro ricchezza in immobili e, di conseguenza, la prolungata crisi del comparto real estate, che si è andata a sommare al lockdown più lungo e duro del pianeta, ha inferto un duro colpo alla fiducia generale nei confronti del sistema Paese locale. 

Sempre secondo Bain, nel 2024 il fatturato totale del settore in questa fondamentale area ha registrato un calo che potrebbe avere toccato il 20% su base annuale, riportando i numeri a quanto realizzato nel 2020. Va specificato, però, che quest’ultimo dato è meno orrendo di quanto potrebbe sembrare a una prima osservazione. Infatti, il primo anno di Covid era stato caratterizzato in Cina da una rapida riapertura e da una marcata ripresa dei consumi, poi uccisa dal ritorno a durissime quarantene nel biennio successivo, proprio quando il pianeta stava tornando alla normalità. 

Alla ricerca di nuovi driver 

Al di là delle disfasie nel ciclo economico di varie nazioni, quanto successo di recente apre però diversi punti interrogativi. Il problema maggiore per chi vuole investire nei titoli delle società protagoniste di questo comparto è proprio la mancanza di un tema forte all’orizzonte. Per capire ciò di cui si sta parlando, conviene fare una breve panoramica sulle macro-aree che compongono il grosso dell’economia mondiale. La prima è gli Stati Uniti, il cui andamento è stato per certi versi miracoloso nel corso di questo decennio. Infatti, il Paese viene da anni di ottima crescita, ma, ciò nonostante, il fatturato del segmento del lusso è salito da circa 81,6 miliardi di dollari nel 2019 a 96,4 nel 2024. Si tratta di un incremento totale di circa il 18% e di un miglioramento inferiore alla media mondiale complessiva, come è giusto che sia per un’economia comunque molto matura. Per il futuro prossimo, non si può dire che ci sarà una recessione in America, anche se le incertezze si sono forse moltiplicate negli ultimi mesi. Al tempo stesso, però, non è realistico pensare che la prima economia della Terra possa generare al momento una spinta miracolosa per l’alta gamma. Non sorprendentemente, il consenso degli analisti stima per il prossimo lustro un Cagr intorno al 4% per quanto riguarda i ricavi del lusso negli Stati Uniti.

Dall’altra parte l’Europa, pur avendo forse superato la fase più critica di anni comunque difficili, non appare certo in grado di rappresentare un solido pilastro del ciclo mondiale. Al contempo, le autorità cinesi sembrano decise ad attuare politiche di stimolo fiscale e monetario più robuste, rispetto al recente passato, ma permangono molti dubbi sulla consistenza e l’efficacia dei provvedimenti. Le altre grandi aree emergenti, dall’India al Sud-Est asiatico e all’America Latina, rimangono per il momento di dimensioni troppo contenute per riuscire da sole a compensare i fattori contrari. Non sorprende, a questo punto, che Bain indichi per i prossimi cinque anni un aumento di circa il 4% all’anno per le vendite globali del lusso, curiosamente un valore in linea con quanto viene previsto per l’America. Una ripresa dunque tenue, che rappresenta la naturale conseguenza di una transizione che probabilmente non permetterà di tornare tanto presto ai fasti del recente passato. Non va infatti dimenticato che dal 1996 al 2024 il totale dei ricavi si è quintuplicato, soprattutto per l’ascesa stratosferica del Far East nei ranghi dell’economia mondiale. Oggi siamo forse entrati in un nuovo mondo, caratterizzato da un quadro più normale. Un paradigma sicuramente più sfidante, ma anche foriero di tante opportunità generate dalla trasformazione in atto.

Innovare, innovare, innovare 

Per meglio inquadrare il problema, vale la pena riportare alcuni dati aggiuntivi: nel 2024, il 66% dei gruppi del lusso ha visto una diminuzione delle proprie vendite, una percentuale raddoppiata rispetto all’anno precedente. Sempre Bain stima che nell’ultimo biennio la base di acquirenti si sia ridotta di 50 milioni di persone. Il fenomeno è stato aiutato in maniera sostanziale dalla decisione di molti protagonisti del settore di alzare in maniera significativa i prezzi. Contemporaneamente, continuano a crescere gli accessori in pelletteria di minori dimensioni, gli outlet e gli acquisti nei punti vendita in Giappone, che costituisce l’eccezione asiatica: grazie, infatti, alla debolezza dello yen e a oltre 30 anni di deflazione, Tokyo è diventata oggi forse la più economica fra le grandi metropoli del Far East sviluppato, innescando un boom di shopping turistico senza precedenti.

Quanto esposto sembra indicare una forte visione fra le scelte aziendali dei colossi del luxury e il responso dei consumatori. Una riconciliazione è però possibile ed è proprio basandosi su questa tesi che si può andare a investire nel comparto per i prossimi anni.

Innanzitutto, non va dimenticato che comunque il Pil globale continua a crescere con una popolazione che si espande, una tecnologia che avanza e una marcata diminuzione della povertà, anche se spesso questo trend appare contraddittorio e volatile. Di conseguenza, il bacino potenziale di compratori affluent è ancora sostenuto da una tendenza di lungo periodo rialzista, anche se magari con minore intensità rispetto al recente passato. Tutto ciò comporterà probabilmente una maggiore competizione fra i protagonisti del lusso, a sua volta foriera di fenomeni interessanti. Infatti, si stanno affacciando al picco della propria carriera non solo il grosso dei millennial, ma anche la successiva generazione Z: si tratta in entrambi i casi di gruppi demografici che, rispetto ai consumatori del passato, presentano un profilo piuttosto diverso, che è caratterizzato dallo spostamento di una quota consistente della domanda per l’alta gamma verso il cosiddetto capitalismo delle esperienze.

Stabilito questo trend, sarebbe però profondamente sbagliato ridurre i cambiamenti a stereotipi macchiettistici in cui si immaginano i 30-40enni di oggi spendere il proprio budget in viaggi esotici e cibi biologici, anziché acquistare champagne e borsette. Ciò che viene chiesto ai gruppi del comparto, inclusi i grandi protagonisti, è di investire sull’innovazione. Il concetto chiave sembra la capacità di attrarre con un’offerta diversa e in continua evoluzione l’attenzione di consumatori disposti a pagare cifre molto elevate in cambio però di esperienze intriganti (anche quando si acquistano beni fisici) e in grado catturare l’attenzione in un mercato più saturo rispetto anche solo a pochi anni fa.

In un mondo diverso

Tutto ciò promette di scompaginare in maniera profonda equilibri consolidati. Ma sarebbe sbagliato immaginare un futuro di declino per i colossi europei fino al punto di correre il rischio di sparire, al pari di aziende industriali che oggi sono in una situazione di oggettiva ridotta competitività rispetto ai concorrenti asiatici e americani. La definizione di lusso si sta ampliando e trasformando e mostra la necessità di aumentare il proprio contenuto tecnologico. Non sorprende, dunque, che un benchmark globale del settore come il S&P Global Luxury sia  composto da 80 titoli sparsi su tutto il pianeta e che comprenda aziende di nazioni generalmente non associate a beni di fascia elevata quali Australia, Cina e Corea del Sud, oltre agli Stati Uniti, che sono presenti, ad esempio, con Tesla. Come però i titani della tecnologia negli Usa ormai spesso sono in prima fila nel cogliere le rivoluzioni dell’It (è accaduto nell’ambito dell’intelligenza artificiale), così lo stesso potrebbe succedere per i principali player dell’alta gamma nel Vecchio continente. In entrambi i casi, infatti, gli incumbent dispongono di dimensioni e risorse enormi e sempre più necessarie per finanziare l’innovazione. I grandi marchi sono in grado di mobilitare la liquidità richiesta per tentare esperimenti con nuovi stili, concetti e linguaggi nelle proprie aree core oppure per avventurarsi in nuovi segmenti di business, come i viaggi, l’istruzione o l’immobiliare. Tutto ciò può essere portato avanti, sia organicamente, sia attraverso acquisizioni di realtà più piccole o startup.

 Gli aspirational come laboratorio

Allo stesso tempo, è immaginabile che sarà necessario fare qualcosa per tornare a coinvolgere l’ampia fascia della clientela aspirational, che ultimamente sta mostrando poco entusiasmo per il lusso: esiste, infatti, in tutte le maggiori economie una percentuale consistente della popolazione che ha buone disponibilità, ma che rimane sensibile al prezzo. Basarsi solo sull’espansione futura di acquirenti high networth e ultra-high networth, imponendo scontrini sempre più elevati, costituisce forse la via più facile, ma anche più miope per tentare di garantire crescita e margini al settore. Proprio fra i consumatori appartenenti a categorie appena al di sotto di quelle citate si trova un’ampia concentrazione di persone particolarmente aperte all’innovazione. La scoperta di una simile correlazione non deve stupire: si tratta in generale di un insieme più giovane e che, proprio perché ha consistenti ma non infiniti mezzi, appare particolarmente esigente e attento ad allocare il proprio budget. Questa forma mentis è inoltre particolarmente predisposta per vivere esperienze a 360 gradi, che non si limitano a comprare determinati oggetti. Ad esempio, il successo di Tokyo come polo discount asiatico non sarebbe stato possibile se si fosse basato puramente sui minori costi e non ci fosse stato un interesse esploso nell’ultimo decennio per il Giappone e la sua cultura (dalle sue forme più tradizionali a quelle più pop). 

Questa vivacità culturale presenta un enorme vantaggio: il fatto di costituire un gigantesco laboratorio in cui sperimentare nuovi trend e proposte che potranno poi crescere e venire trasformati in proposte per la clientela più ricca. Fra non molti anni, e specialmente nei sistemi più dinamici, millennial e generazione Z erediteranno le leve del potere: intercettare ora la loro domanda e comprendere i loro desideri rappresenta un passaggio cruciale per un’industria del lusso che si trova di fronte alla sfida più difficile da un quindicennio a questa parte. 

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Responsabile Ufficio Studi Fondi&Sicav

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