Consumi di lusso, ma in abbonamento
I servizi di abbonamento hanno cambiato il modo con il quale i consumatori decidono di procurarsi cibo, abbigliamento, ma anche intrattenimento. Si paga in questo modo il telefono, internet, l’accesso alle piattaforme televisive, ai videogiochi e ai giornali, ma non solo. Oggi questa tipologia di business sta contaminando tutti i settori, che cercano così di rispondere alle esigenze di un pubblico anagraficamente giovane, alla ricerca più di un’esperienza che del possesso di un bene. La formula adottata è basata sui pagamenti mensili ricorrenti, che stanno diventando una parte importante dei modelli aziendali. Secondo il rapporto del “The Subscription Economy Index”, l’economia degli abbonamenti è aumentata di ben il 435% nell’ultimo decennio. Si prevede che crescerà ancora, raggiungendo un fatturato di 1,5 trilioni di dollari entro il 2025. Be Private ha intervistato sul tema Walid Azar Atallah, co-manager of the Thematics Subscription Economy Fund, Thematics Am – affiliate di Natixis Investment Managers.
Che cosa è l’industria degli abbonamenti e perché è interessante?
«Si tratta di aziende che monetizzano i loro prodotti o i loro servizi attraverso gli abbonamenti, una formula che viene adottata in quasi tutti i settori, sia nell’economia reale, sia in quella digitale. Ci sono diverse imprese che sono nate con questa tipologia di business, mentre altre l’hanno integrata. Nell’attuale mercato in rapida evoluzione, i modelli di abbonamento hanno trasformato radicalmente il rapporto tra consumatore e azienda. Questo cambiamento strutturale crea una potente dinamica win-win che avvantaggia tutte le parti interessate. Per le aziende, gli abbonamenti offrono flussi di ricavi prevedibili, molte informazioni sui clienti e migliori capacità di pianificazione a lungo termine. Avere più visibilità significa operare con maggiore fiducia e consapevolezza nel decidere le decisioni future. Ai consumatori offrono una flessibilità, un’accessibilità e una libertà senza precedenti dall’onere finanziario di una proprietà completa. Questo modello trasformativo permea ormai tutti gli aspetti dell’economia. Dai servizi di streaming e delle imprese software as a service ai “warehouse club”, dai centri fitness ai servizi di informazione. La rivoluzione degli abbonamenti non conosce confini: sta ridisegnando le modalità di consumo in tutte le fasce di prezzo e demografiche. Abbiamo individuato cinque segmenti all’interno dei quali questo modello di business è presente».
Quali sono?
«Il primo lo abbiamo identificato con tutto ciò che riguarda la casa: dalla sottoscrizione di servizi di telecomunicazione agli acquisti nei “warehouse club”. Quest’ultimo è un negozio al dettaglio che vende un’ampia varietà di merci, di cui i clienti possono acquistare grandi quantità all’ingrosso iscrivendosi, appunto, al club e pagando una quota associativa. Ciò permette di godere di prezzi bassi grazie al formato dei prodotti. Un’azienda come Costco, una grande catena di ipermercati, offre questo tipo di servizio ed è interessante notare che l’attività pesa per il 2% sul fatturato, ma genera il 70% di profitti. Il secondo segmento è costituito dai fornitori di dati (data provider) alle società finanziarie, legali e mediche. Il terzo è il settore dei mezzi di comunicazione, dall’industria dello streaming alle app per incontri. Il quarto è il software e il quinto la salute e il benessere, nel quale si trovano imprese che offrono servizi riconducibili al concetto di lusso».
È una nuova tipologia di consumo?
«Si prenda ad esempio Netflix. Può essere vista sul televisore o il telefonino, mentre si è a casa o in treno. Permette di vivere un’esperienza, senza di fatto possederla, ed è abbordabile, in termini di costi, da molte persone. È una caratteristica peculiare di questa tipologia di business: è generalmente più accessibile di quanto non sia acquistare un prodotto o un servizio sul posto. Un altro esempio, per chiarire questo concetto, potrebbe essere Photoshop: oggi uno studente che ne vuole usufruire può abbonarsi al programma per 19 dollari al mese sino a quando ne ha bisogno, anziché spenderne circa 600 per acquistare la licenza».
È una modalità che si sta diffondendo tra tutte le generazioni di consumatori?
«Viene usata più dai millennial e dalla generazione Z, ossia coloro che hanno cambiato il modo di consumare e che preferiscono vivere esperienze; sono fruitori molto più orientati alla tecnologia e, per tale ragione, sono alla ricerca di maggiore flessibilità. Ma tutti noi, in linea di massima, sottoscriviamo dei servizi per pagare le nostre utenze».
Che cosa, a suo parere, ha dato un impulso allo sviluppo di questa industria?
«Indubbiamente la pandemia ha impresso un’accelerazione, ma sono stati i nativi digitali che hanno provocato il cambiamento. Oggi, se ci si vuole iscrivere a una palestra o a un club, lo si può fare attraverso un sito e pagare direttamente con la carta di credito: la digitalizzazione dell’economia ha reso decisamente molto più semplice questi processi. Inoltre, come dicevo poc’anzi, le offerte hanno costi più bassi, un aspetto cui le generazioni più giovani sono molto sensibili. Inoltre, e sicuramente durante il Covid-19 il comparto ha conosciuto una forte diffusione, si può fruire degli stessi corsi online attraverso un Pc, un tablet o un telefonino».
Personalmente preferirei recarmi di persona e verificare come è il luogo in cui svolgerò l’attività fisica, parlare con le persone, ma forse è un problema d’età…
«Ci sono diversi punti di vista e sono tutti legittimi, ma basterebbe pensare che la digitalizzazione, ad esempio, ha offerto la possibilità di leggere diverse testate giornalistiche su uno schermo, potendole consultare in qualsiasi luogo e, soprattutto, in tempo reale. E questo è un altro aspetto distintivo degli abbonamenti: offrono aggiornamenti continui. Quindici anni fa, se si voleva utilizzare Excel, si era soliti acquistare un Cd e installare quella specifica versione su un laptop. Attualmente lo si può fare con un abbonamento, attraverso qualsiasi piattaforma e si può avere la versione più recente».
Quali sono gli aspetti positivi e negativi di questa industria?
«Quando un’azienda decide di abbracciare il modello di business degli abbonamenti ha di fronte a sé due possibilità: sopravvivere o scomparire, perché fallisce o viene acquisita da un’altra società. Posso fare due esempi positivi a tale proposito: Netflix e Vail Resort Inc. La prima due anni fa attraversò un periodo di crisi che riuscì a superare grazie alle dimensioni del suo business e al possesso di una ricchissima cineteca; in pratica, dimostrò che riuscire a rimanere sul mercato è una questione più di dimensioni che di qualità. Netflix ha goduto del vantaggio di essere tra le prime società del suo genere e di avere creato una vasta rete di utenti: ciò gli ha permesso di rivedere il sistema di sottoscrizione, aumentandone il costo, e ha introdotto la personalizzazione del servizio attraverso la comunicazione delle preferenze dell’utente. Poi ci sono aziende come Vail Resorts, negli Usa. La società gestisce località montane e aree sciistiche, principalmente in America, attraverso una serie di controllate, e ha una posizione dominante nell’ambito dei resort in questo segmento di mercato. Fondata agli inizi degli anni ’60, conobbe una forte espansione dal 2008 in poi, grazie a una decisione strategica che consistette nell’introduzione di un “pass” per tutte le stagioni e per più montagne. Era la risposta a una dinamica che, negli anni, aveva visto salire vertiginosamente i costi per coloro che amano sciare. Il “pass” annuale costa oggi 982 dollari, certo una cifra non indifferente, ma che permette di accedere ai diversi resort, controllati dall’azienda, di alto livello e in località iconiche degli Stati Uniti, dell’Europa, del Giappone, dell’Australia e del Canada. Lo scorso anno, per esempio, Vail Resorts ha acquisito due attività turistiche nella Confederazione elvetica, creando così una vera e propria rete di strutture ricettive tra Italia, Svizzera e Francia. Ciò dimostra che il business model adottato non solo funziona, ma ha permesso un’ulteriore crescita della società grazie proprio all’ecosistema degli abbonamenti».
Ma qual è l’impatto sulle località turistiche?
«Un’ulteriore razionalizzazione e programmazione dei servizi offerti. Il sistema di abbonamento prevede infatti che almeno tre giorni prima debba essere comunicato il luogo dove ci si vuole recare. In questo modo, la stazione sciistica può controllare meglio il flusso dei turisti e adeguarsi di conseguenza, migliorando così la redditività delle proprie prestazioni. È un business che punta a un segmento elevato di clientela che, oltre al lusso, vuole anche la facilità di accesso a questi luoghi e Vail Resorts ne offre ben 42».
Ci sono altri servizi riconducibili a esperienze di lusso?
«Ad esempio, c’è Soho House, una piattaforma associativa di spazi fisici e digitali che mette in contatto un gruppo di membri per lavorare, socializzare, connettersi, creare e prosperare in tutto il mondo. Nata nel 1995 a Londra, è un club esclusivo accessibile solo agli iscritti: offre un’esperienza di lusso a persone che operano soprattutto nell’ambito creativo e dispone di hotel e spazi dedicati in case private, con molteplici servizi al loro interno. Soho House è presente in particolare nel Regno Unito, ma ha sedi in diverse parti del mondo e una di queste è l’Italia. Del club fanno parte persone note e dell’alta società internazionale. Ci sono poi aziende come Rent the Runway, che democratizzano l’accesso alla moda firmata attraverso il prestito in abbonamento. Anche in questo caso c’è un costo mensile di circa 500 dollari, che permette però il noleggio di abiti particolarmente costosi e di alta moda. C’è poi Wheels Up, che ha rivoluzionato l’aviazione privata con modelli di canone che eliminano i costi proibitivi del possesso di un jet. La giapponese ResortTrust, per citare un altro esempio, è stata pioniera nell’accesso in abbonamento a cliniche mediche di alto livello, decenni prima che nascesse la sharing economy. Anche le case automobilistiche tradizionali, come Porsche, offrono ora servizi di abbonamento flessibili attraverso Porsche Drive, consentendo agli appassionati di utilizzare i veicoli dei loro sogni senza i tradizionali impegni di proprietà».
Sinora ha parlato degli aspetti positivi dell’industria degli abbonamenti. Ce ne sono anche di negativi?
«A volte c’è una sorta di rigetto da parte dei consumatori, poiché molte industrie vogliono integrare questo tipo di modalità nella gestione della loro attività, per i benefici che ne possono trarre. Tuttavia, c’è un’offerta così ampia che a volte non si sa che cosa scegliere. Inoltre, i canoni possono diventare una voce importante del bilancio familiare. Ciò nonostante, vorrei rimarcare che le imprese che adottano questo modello di business sono particolarmente resilienti. Combinano le caratteristiche difensive dei ricavi ricorrenti con un significativo potenziale di crescita, dato che le preferenze dei consumatori continuano a spostarsi dalla proprietà al consumo basato sull’accesso. Questa intersezione di stabilità e potenziale di espansione le posiziona in modo unico nel panorama degli investimenti odierni, rappresentando non solo una tendenza, ma il futuro del consumo che è già arrivato».