Bollicine sostenibili

A colloquio con Camilla Lunelli, responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne delle Cantine Ferrari, simbolo di eccellenza delle bollicine trentine e punto di riferimento per la produzione degli spumanti italiani.

Ferrari, a partire dal 1902 ha continuato a crescere sino a diventare leader del metodo classico in Italia e poi, secondo l’ultima ricerca di Wine Intelligence, il brand vinicolo più forte del Paese. Qual è la ragione del vostro successo?

«Innanzitutto, penso che ci sia una coerenza di valori che, nel nostro caso, sono stati portati avanti per tre generazioni dalla nostra famiglia, i Lunelli, e prima ancora dal fondatore della cantina, Giulio Ferrari, che ne era stato il precursore. Parlare oggi di ricerca dell’eccellenza e della qualità è diventato un fatto ormai scontato, ma posso assicurare che agli inizi del ‘900, quando il vino era considerato un alimento, era una visione molto evoluta. Lo stesso si può affermare per quanto riguarda il legame con il territorio che, per Giulio Ferrari, era da considerare fondamentale. Non a caso, nel 1952, quando si trovò a decidere a chi lasciare la cantina, non avendo lui figli, scelse mio nonno anche per mantenere in mani trentine, che fossero legate al territorio, la produzione. Tutto ciò nonostante ci fossero buone offerte da parte di aziende importanti».

Quindi per voi la tradizione ha un peso determinante?

«Pensiamo che ci sia un tema di valori imprescindibili, ma che vanno vissuti con una grande apertura all’innovazione. A nostro avviso è giusto che i principi fondanti rimangano, ma possono essere arricchiti di nuove sensibilità. Per esempio, la sostenibilità, per noi, nuova generazione dei Lunelli, è diventata un valore cardine, anche se non l’abbiamo ereditata, né da Giulio Ferrari, né da nostro nonno. E poi non va dimenticata l’apertura all’innovazione. I valori non devono essere vissuti come un freno, bensì come una guida attraverso la quale fare evolvere competenze e attività».

Lei parlava di valori e sul vostro sito si legge la frase che “la qualità Ferrari è il frutto di tanti piccoli gesti quotidiani”. Siete conosciuti in tutto il mondo, ma rimane questo forte legame con il territorio, quasi da fare pensare che in voi convivano due anime: quella della tradizione e quella dell’innovazione. Che cosa ne pensa?

«Tutte le bottiglie di Ferrari sono Trentodoc e ci teniamo moltissimo che questa dicitura venga riportata sull’etichetta, perché riteniamo che sia importante e giusto farlo. Prendiamo dal territorio la grande qualità che le nostre montagne sanno esprimere e ci sembra che sia corretto restituire al territorio un riconoscimento in termini di identità e di notorietà. Proprio per questo motivo, il nostro impegno va nella promozione di questa area attraverso l’organizzazione di visite non solo alle cantine, ma anche ai luoghi che fanno da culla al nostro vino, cui siamo molto legati, e riteniamo che debbano essere conosciuti per la loro bellezza. Però è vero che siamo molto vicini al nostro territorio, ma anche aperti a trovare nuovi modi per veicolare il nostro prodotto all’esterno. Quando andiamo fuori dall’Italia, ad esempio, parliamo sì di Trentodoc e delle caratteristiche della viticultura da montagna, ma ci piace anche raccontare quella che noi chiamiamo l’arte di vivere italiana. Si tratta di promuovere lo stile di vita del nostro Paese a tutto tondo, soprattutto quando non ci si rivolge più solo a un pubblico di intenditori o appassionati di vino».

Ovviamente anche il brand ha la sua importanza, soprattutto perché vi permette di investire sul territorio.

«Tutto il discorso legato al brand deve avere basi estremamente solide nella qualità del prodotto, nella serietà di una tradizione e di un territorio, perché si può investire e costruire sul marchio solo se si hanno radici profonde».

Quanto pesa all’interno della gestione del gruppo la sostenibilità? Qual è l’importanza che le date e come la traducete nell’attività quotidiana?

«La sostenibilità, in particolare in campo ambientale, come ho detto in precedenza, è un valore che ha portato la nostra generazione e sta permeando sempre più tutte le nostre attività. La gestione di una cantina non comporta  impatti ambientali particolarmente forti, ma ha un rapporto molto stretto con la terra ed è soprattutto in questo ambito che diventa importante mostrare attenzione. Ciò che abbiamo cominciato a fare, ormai da diversi anni, è stato convertire al biologico i vigneti di nostra proprietà, una decisione che abbiamo preso con piacere e convinzione e che, nei fatti, è stata relativamente semplice. Ma la cosa di cui siamo particolarmente orgogliosi è il fatto di avere trasmesso la cultura della sostenibilità a oltre 600 viticoltori trentini che conferiscono a noi le loro uve. Ciò che abbiamo fatto è stato elaborare, sulla base delle nostre esperienze sui vigneti di proprietà, un protocollo certificato da Csqa (ente per la certificazione della qualità agroalimentare), che abbiamo chiamato “Il Vigneto Ferrari per un’agricoltura di montagna sostenibile e salubre”. Esso rivoluziona il metodo di coltivazione del vigneto tradizionale e lo porta molto vicino a quello biologico». 

Come avete proceduto?

«Si è chiesto a questi oltre 600 conferenti di modificare il loro approccio alla coltivazione, pur lasciando un minimo di flessibilità in alcune situazioni, come nel caso di eventi meteorologici particolarmente forti, concentrandoci sulla naturale fertilità del terreno. Sono stati così banditi i diserbanti e i concimi chimici, a favore di pratiche tradizionali, di fertilizzanti naturali come il letame e dell’uso esclusivo di fitofarmaci ad alto grado di sicurezza, che prediligono l’impiego di prodotti naturali quali il rame e lo zolfo: tutte pratiche alla base dell’agricoltura biologica. È stata un’operazione di cui siamo molto orgogliosi, che è stata accolta molto favorevolmente dai conferenti, proprio perché si parla di viticoltura sostenibile e salubre, dove la sostenibilità legata all’ambiente non va disgiunta dalla salute di chi nel vigneto ci lavora e ci vive. Devo dire che questo cambiamento è stato accolto in tempi molto più rapidi del previsto. Mio padre, che è stato enologo e agronomo, mi raccontava che negli anni settanta c’è voluto molto, ma molto più tempo, a convincere i conferitori d’uva a ridurre la quantità prodotta, nonostante il compenso venisse maggiorato».

Voi siete stati precursori anche della potatura sostenibile, avete introdotto i teli biodegradabili, sino ad arrivare a promuovere il progetto per la preservazione idrica Bluetentacles. Tutte queste iniziative si inquadrano sempre nella salvaguardia del territorio e nella cultura della sostenibilità?

«Decisamente sì. La potatura di Simonit e Sirch permette di avere viti più longeve e più resistenti. Se si guarda, invece, a Bluetentacles, vediamo che da un lato produce risparmio idrico e dall’altro ha anche un risvolto sociale, visto che si è deciso di sostenere una start-up del territorio. Abbiamo portato avanti una serie di iniziative che, per quanto piccole, hanno la finalità di ridurre l’impatto della coltivazione sul territorio».

Sino a qualche anno fa, la sostenibilità veniva vista come una scelta che comportava un aggravio dei costi per l’impresa.  Il tempo ha dimostrato che non è così e che la sostenibilità, di fatto, paga. Come coniugate questa visione con gli obiettivi economici del gruppo? 

«Sappiamo che quando si parla di sostenibilità ci si riferisce a quella economica, sociale e ambientale, perché senza la prima si va poco lontano. Siamo un gruppo solido e siamo disposti a compromessi economici per obiettivi di carattere ambientale e sociale, in cui crediamo. Sono d’accordo sul fatto che è sempre più chiaro che, a fronte di costi che sono indubbi, ci sono poi buoni ritorni. La nostra attività si svolge in un contesto in cui gli eventi meteorologici sono sempre più imprevedibili e di impatto significativo, come ci insegna Andrea Giuliacci.  Fortunatamente le ultime due vendemmie che abbiamo avuto sono state regolari ma, in precedenza, ci sono state annate molto difficili e purtroppo sappiamo che, visto il surriscaldamento globale che avanza, il trend nel futuro comporterà eventi atmosferici sempre più estremi. Ciononostante, noi siamo pronti, a priori, ad accollarci determinati costi e pensiamo che sia giusto farlo. Inoltre è ormai chiaro che la sensibilità collettiva va sempre più nella direzione della sostenibilità, con il consumatore che è disposto a premiare un certo tipo di qualità.  E non sto parlando di prezzo, visto che per i vini di Tenute Lunelli con certificato biologico non abbiamo rivisto il listino al rialzo di nemmeno un centesimo. Inoltre, penso che nel lungo periodo sia scontato per i grandi vini essere dotati di un protocollo sulla sostenibilità. È quindi opportuno muoversi in anticipo ed essere pronti a raccogliere le richieste del mercato. C’è poi un altro aspetto legato alla sostenibilità ed è quello dell’employer value, soprattutto per i giovani talenti che vogliono lavorare in una realtà che dia loro uno scopo e per i quali il tema ambientale ha un peso rilevante. Abbiamo avuto anche richieste di certificazione da parte di grandi catene, soprattutto dei paesi del nord Europa, che cominciano a volere garanzie sulle caratteristiche sostenibili dei nostri prodotti. Il mondo sta andando in questa direzione e noi certamente non ci faremo trovare impreparati».

Voi venite da una lunga storia e per voi la lungimiranza è stato un elemento importante. Quali sono i vostri obiettivi futuri?

«Mi faccia dire una cosa sulla lungimiranza. Credo che la nostra fortuna sia avere un’azienda di tipo familiare che opera in un settore che ha tempi di lavorazione molto lunghi. Uno degli ultimi vigneti che abbiamo realizzato in alta quota ha richiesto tre anni di lavoro e, prima di ottenere una riserva superiore, passeranno quasi vent’anni, perché la pianta deve raggiungere una determinata maturità. Nel nostro lavoro siamo abituati a invecchiare un vino per sette, otto, 10 anni e anche oltre, un vero e proprio progetto generazionale. Tutto ciò fa sì che la lungimiranza sia connaturata con il modo di svolgere la nostra attività. I nostri obiettivi di lungo termine hanno non solo a che fare con il marchio Ferrari, ma sono legati al completamento del piano del Gruppo Lunelli, ovvero la diversificazione nell’ambito del beverage di alta gamma. Ci stiamo già muovendo in questa direzione e con soddisfazione».

Giuseppe Riccardi

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Founder e Editore Fondi&Sicav

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