PMI italiane, un grande mercato per i capitali

Giovanni Tamburi è presidente e amministratore delegato di Tamburi Investment Partners Spa (Tip), un’investment e merchant bank molto conosciuta, di cui è fondatore e socio. La sua attività nel campo della finanza aziendale è iniziata nel 1977 nel gruppo Bastogi; in seguito ha lavorato per 10 anni in Euromobiliare. Nel 2000 ha deciso di dare vita a Tip, che oggi è il maggiore investitore privato italiano in società di medie dimensioni e ha creato uno dei più importanti network di imprenditori-coinvestitori del nostro Paese.

Come è nata l’idea di fondare Tip e con quali obiettivi?

«Da quando ho cominciato a lavorare nell’area merger& acquisition di Euromobiliare, ho realizzato quella banalità che è da sempre sotto gli occhi di tutti, cioè che l’Italia ha migliaia di società sottocapitalizzate ed è uno dei paesi con il maggiore stock di risparmi privati al mondo. Fatta questa riflessione, ho iniziato a ipotizzare una modalità di accompagnamento dello sviluppo di imprese ambiziose con un supporto finanziario e di governance da socio di minoranza non invasivo, per potere rispettare i normali canoni delle aziende italiane. Ed è nata Tip». 

Tip vanta un track record importante di operazioni sul mercato italiano: da Moncler a Ferrari, da Prysmian a Interpump, da Amplifon a Ovs, per arrivare a Eataly. Quale pensa che sia il segreto alla base del vostro successo?  

«Nessun segreto. Abbiamo solo acquistato quote di società eccellenti nei rispettivi settori che avevano quella voglia in più di crescere e non è un caso che le nostre partecipate abbiano concluso oltre 100 acquisizioni da quando siamo entrati nel loro capitale. Il valore aggiunto creato dalle sinergie di queste operazioni ha generato una buona parte dell’extra-valore a oggi riscontrabile. Ovviamente la bontà di fondo di queste imprese è stata la base di tutto». 

Quali sono i criteri che seguite per investire in un’azienda? Ha un case study da illustrare?

«Ogni caso è a sé. I criteri non sono altro che una derivata della risposta precedente. Il primo elemento è investire dove ci sono bravi imprenditori o manager con adeguato spirito imprenditoriale; il secondo è progettare insieme un percorso di generazione di valore basato su operazioni di finanza straordinaria; il terzo è l’ottimizzazione della governance con il nostro contributo. Vanno limitati al massimo i condizionamenti di tipo familiare o, in società che vengono da percorsi di private equity, quelli legati alla prevalenza dell’interesse degli azionisti rispetto a quello aziendale». 

Nelle vostre scelte di investimento, avete alcune preferenze settoriali?

«No, escludiamo banche, immobili e settori con tariffe amministrate, ma per il resto, se ci sono i criteri di cui sopra, analizziamo di tutto». 

Il tessuto economico italiano è connotato da una forte presenza di Pmi. Secondo un recente rapporto del Cerved, le Pmi italiane affrontano la pandemia dopo una ripresa incompiuta in termini di redditività, ma con una solidità patrimoniale senza precedenti. Qual è la sua lettura e quali sono le opportunità di investimento?

«Le opportunità di investimento sono innumerevoli: il tessuto industriale italiano è fantastico e pure la pandemia lo ha dimostrato. Dal nostro punto di vista dobbiamo essere bravi a trovare le operazioni giuste per il nostro modello. Adesso abbiamo dato vita a Itaca, per poterci presentare anche a società con problemi strategici, finanziari od organizzativi, non più solo a chi voleva accelerare la propria crescita grazie anche a noi». 

Tip, insieme a 40 famiglie italiane, ha infatti costituito Itaca, un nuovo veicolo per investire in aziende in difficoltà, ma con potenzialità di sviluppo.  Ci spiega come opererà Tip sul mercato?

«L’operatività di Tip non cambia: saremo sempre accompagnatori di imprenditori, per i quali continuiamo ad avere il massimo rispetto ed enorme stima. Anche perché non credo che ci siano al mondo società finanziarie tuttologhe che sono in grado di dimostrare capacità imprenditoriali di alto livello in ogni settore. La bellezza del progetto Itaca è che adesso, oltre a essere interlocutori diretti di imprenditori desiderosi di fare con noi un percorso virtuoso, siamo diventati partner delle banche che spesso hanno il problema di decidere quali società sostenere nel tempo: con un sostanzioso contributo di equity da parte nostra, possono selezionare i dossier in maniera ancora più profonda». 

In un contesto di tassi che rimarranno bassi per lungo periodo, come allocherebbe gli investimenti all’interno di un portafoglio?

«Mi verrebbe da dire: equity, equity, equity. So che non è possibile, per cui mi limito a suggerire che di certo la priorità massima all’interno di un portafoglio va data ad azioni di società solide, leader di mercato, che hanno già dimostrato di sapere affrontare positivamente momenti difficili. Una seconda priorità va ricercata sui bond di aziende con simili caratteristiche, ma in grado di dimostrare livelli di patrimonializzazione adeguati e rendimenti minimi discreti, anche se su scadenze lunghe. Sul resto mi astengo. Ciò che eviterei sempre è quell’eccesso di diversificazione tipico dei private banker più timorosi, ma che alla fine non fa contento nessuno. Un po’ come nel nostro portafoglio: una ventina di titoli molto ben ponderati e scelti. Di certo chi mette decine di titoli per importi percentualmente bassissimi, più fondi che a loro volta rappresentano altre decine di titoli, fa un errore colossale ed è ampiamente dimostrato. Ormai la clientela è perfettamente in grado di discernere tra il gestore bravo e quello che si barcamena». 

Pinuccia Parini

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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