Professione, fare crescere talenti

Costruire una storia di successo nelle diverse discipline, settori e ambiti richiede percorsi diversi in base al contesto in cui l’operazione si sviluppa. Non c’è una visione unica su cosa sia affermarsi e, soprattutto, ciascuno lo declina in base agli obiettivi che si è prefissato, o ha condiviso, e anche ai propri valori. Be Private ne parla con Marta Donà, ceo di Latarma Management, società che dal 2011 si occupa di artist management e project development, della creazione di eventi e della promozione e distribuzione di opere musicali, dischi, registrazioni o produzioni audiovisive. E in alcuni casi sono stati ottenuti successi che hanno contribuito a rialzare in maniera significativa l’immagine dell’Italia nel mondo.

Lei da sempre lavora con i giovani musicisti. Come identifica i potenziali talenti?

«Non ho un metodo scientifico per individuare gli artisti con cui lavorare: credo che alla base del mio percorso lavorativo ci sia stata sempre la curiosità, la voglia di misurarmi con qualcosa di nuovo, di affrontare nuove sfide e di supportare il talento. Qualcuno direbbe che le mie sono “scelte di pancia”. Ammetto che in diverse occasioni la prima molla è stata proprio questa, l’istinto, ma la domanda fondamentale che mi pongo sempre, prima di iniziare una collaborazione, è: che cosa posso portare io come valore aggiunto a questo progetto? Possiamo sviluppare qualcosa di nuovo e di sorprendente insieme che aiuti il talento dell’artista che ho di fronte? È questa la valutazione che faccio, perché per me al centro ci devono sempre essere il talento, l’arte e la volontà dell’artista intorno al quale costruire insieme il migliore team e la migliore strategia possibile, un lavoro di squadra dal primo momento, tutti tesi verso il medesimo obiettivo». 

Spesso il successo arriva in giovane età, accompagnato quindi da insicurezze e fragilità “anagrafiche”. Come si superano questi che possono essere ostacoli nello sviluppo di una carriera?

«La giovane età non deve essere considerata un ostacolo alla carriera, e forse “carriera” è il termine sbagliato: è talento che emerge da subito. Ho incontrato Marco Mengoni che aveva da poco compiuto 18 anni, Francesca Michielin non era ancora maggiorenne, i Måneskin al primo incontro più giovani ancora. Il lavoro che abbiamo fatto con i vari artisti è stato accompagnarli nel loro percorso, senza costrizioni, e capendo il momento particolare che stavano vivendo, assecondando anche desideri non legati al loro percorso professionale. Francesca non voleva lasciare gli studi ed è con orgoglio che a breve si laureerà al conservatorio, Marco non ha mai abbandonato le sue passioni extra-musicali, come la pittura, la natura e l’antropologia, e così è stato. Il percorso artistico è parte della loro vita, non deve essere totalizzante: il talento va coltivato e deve svilupparsi senza costrizioni, senza un timing imposto e senza obiettivi prestabiliti. Credo che il mio ruolo sia sempre stato di supporto e confronto in totale onestà, senza mai snaturare i desideri, le passioni e il modo di vivere di chi ha messo l’arte e lo spettacolo al centro della propria vita. Anche nel mio team ci sono molti giovani: sono un continuo stimolo, una fonte di idee e di grandissime risorse lavorative. Trovo il loro entusiasmo contagioso e vederli crescere e appassionarsi ai nostri progetti è molto gratificante».

Come si costruisce e si gestisce una storia di successo?

«Ogni percorso è differente, ogni artista ha una personalità, esigenze e obiettivi diversi. L’elemento fondamentale del rapporto con ognuno di loro per me è la condivisione e il confronto continuo: io e il mio team siamo sempre a disposizione e ogni progetto viene discusso, sviscerato, analizzato e costruito insieme partendo dal suo cuore, che è l’artista stesso e il suo messaggio. Ogni idea e ogni proposta nascono da suggestioni condivise, senza forzature o imposizioni. Io e il mio team abbiamo sempre ben chiaro in mente che nessuna decisione viene presa “per conto di”, ma sempre “insieme a”: noi affianchiamo gli artisti, li supportiamo e sviluppiamo con loro attività e idee, concertiamo insieme come comunicare ogni aspetto del loro lavoro. Ecco, una parola chiave della mia esperienza lavorativa è proprio comunicazione: per me è fondamentale, sia all’interno, sia verso l’esterno, raccontarsi e raccontare l’arte, l’innovazione, le idee; è parte del percorso che facciamo insieme. È dal dialogo che si sviluppano progetti “sartoriali” per ogni artista, è dal confronto che nascono idee originali e pertinenti. Un altro aspetto per me importantissimo è la progettualità: non proponiamo mai qualcosa di fine a se stessa, ma ogni attività che sviluppiamo insieme è sempre un passo verso una meta più lontana, inserito in un progetto più ampio; muoversi con una visione a lungo termine è fondamentale, ti permette di avere ben chiara la direzione da seguire e, di conseguenza, programmare e costruire un progetto al meglio, ma allo stesso tempo anche di modificare il piano o aggiustare il tiro in caso di imprevisti. Mi piace parlare di crescita, sia per l’artista, sia per noi: in questi anni anche Latarma è cresciuta e ha fatto un percorso importante, di cui sono molto orgogliosa».

Gli artisti vengono visti come “fuori dal mondo”. Come vivono invece la quotidianità, come affrontano, per esempio, temi  come la sostenibilità?

«Capita spesso che gli artisti vengano visti come fuori dal mondo, c’è quest’idea di artista chiuso nella torre d’avorio, avulso dalla società e dalla vita reale. Bisogna sempre ricordare che, invece, si tratta prima di tutto di esseri umani, ognuno con il proprio carattere, le proprie peculiarità, desideri e stile di vita. L’aspetto di attenzione all’ambiente è, da sempre, per esempio, molto caro a Marco Mengoni, che si muove abitualmente in bicicletta, cerca di limitare l’uso di plastica monouso, utilizzando nella vita di tutti i giorni una borraccia, ed è molto attento alla tutela del nostro pianeta. Marco ha portato questa sua attenzione anche nell’ambito lavorativo: è arrivata da lui la suggestione di organizzare un tour sostenibile, dai piccoli gesti, come appunto l’uso di borracce per tutta la crew o la realizzazione di pass in cartone riciclabile, fino alla compensazione delle emissioni di CO2 grazie al progetto GreenNation di LiveNation. Così come ha chiesto alla sua casa discografica (Sony Music) che il packaging del suo ultimo lavoro discografico fosse totalmente biodegradabile e che l’attenzione rimanga alta per il futuro. Francesca Michielin ha compensato le emissioni di CO2 causate dalla produzione di un suo album piantando una foresta di avocado che è cresciuta all’aumentare degli stream del suo disco; lei ci ha coinvolto anche nei suoi approfondimenti legati ai temi di inclusività, femminismo e rispetto delle diversità, condividendo le sue riflessioni anche fuori dalla sfera personale, con il suo podcast “Maschiacci”. L’esigenza di parlare del ruolo femminile nella quotidianità è nata da lei, ha sentito il bisogno di chiedere a se stessa e a donne del mondo dello spettacolo, ma non solo, per quale cosa lottassero ogni giorno e quale cosa non volessero più fare; ha proposto lei il tema e il progetto e con il mio team lo abbiamo sviluppato e realizzato. Avere un rapporto di fiducia totale con i propri artisti è fondamentale per il rapporto personale e per includere nella sfera lavorativa temi per loro importanti; per capire insieme come portare la loro sensibilità, le loro urgenze anche al pubblico, sempre nel totale rispetto delle diversità e delle sensibilità dei singoli».

Dal suo osservatorio privilegiato ha visto e vede grandi cambiamenti nelle diverse generazioni?

«La differenza più evidente che noto rispetto al passato non è tanto nel gusto, quello è naturale che muti con il passare degli anni e delle generazioni, ma piuttosto nella fruizione. Nella musica, come per il mezzo televisivo, la fruizione oggi è veloce, smart, immediata; fino a qualche anno fa si usava la parola “multipiattaforma”, che mi suona comunque già vecchia. Gli utenti di oggi sono bersagliati continuamente da stimoli diversi e continui e questo fatto ha sicuramente un vantaggio per loro che possono decidere rapidamente che cosa guardare, come farlo, su quale supporto, come ascoltare un nuovo brano e per quanto tempo. Dall’altro lato, però, tutto ciò fa sì che il tempo di fruizione sia minimo e il contenuto venga presto accantonato. L’offerta è oggi sterminata, quasi infinita, ed è sempre più complicato fidelizzare l’utente, affezionarsi a un mezzo o a un artista. La difficoltà di oggi è anche individuare il mezzo giusto per veicolare i nostri contenuti, o declinarli per coprire le diverse piattaforme. Faccio un esempio con l’esperienza che stiamo facendo con Antonio Dikele Distefano: è un giovane content creator in grado di coprire dall’editoria tradizionale, ai media più moderni (ha fondato la prima rivista social Esse Magazine), ha ideato una serie per Netflix ed è creatore e protagonista di un branded content di successo come Basement Cafè. Sono tutti progetti con la sua fortissima impronta, ma che hanno declinazioni diverse, in grado di soddisfare la domanda di contenuti modulabili e diversificati che caratterizza questi nostri tempi e l’urgenza di Antonio di comunicare attraverso tutti i mezzi che lui stesso utilizza.

Alessandro Cattelan, per farle ancora un esempio, a distanza di pochi mesi ha debuttato su RaiUno con un suo show e porterà su Netflix un prodotto originale ideato per la piattaforma, da anni ha un programma in radio, ha scritto una serie di libri per i più piccoli, ha creato alcuni format per i social e sviluppa progetti creativi adatti a questi tempi. Il mio lavoro è ragionare con lui su come fare arrivare il suo messaggio agli utenti dei diversi mezzi, costruire con lui progetti coerenti con il suo mondo e il suo modo di fare spettacolo, ma declinati in base alla loro destinazione».

La musica italiana ha successo fuori dai nostri confini? Può essere un volano per il nostro Paese, per il Made in Italy inteso anche come stile di vita italiano?

«Non ho mai ragionato “geograficamente”, così come non ho mai lavorato avendo come fine ultimo il successo. Ciò che mi muove è sempre il desiderio di costruire un percorso, raccontare una storia, un mondo, partendo dall’urgenza dell’artista in quel preciso momento della sua vita. Sicuramente farsi apprezzare da un mercato diverso dal nostro ti fa comprendere quanto la musica, l’arte in genere sia intellegibile, immediata e onesta, sempre. Sono sempre felice e orgogliosa quando ci sono successi italiani all’estero, siano artistici, scientifici o sportivi, perché so quanto sacrificio e quanto lavoro ci sia dietro. Ecco, è questo lo “stile italiano” che sono sicura all’estero apprezzino e che vedo nei tanti progetti che portiamo nel mondo: la passione, la perseveranza, il talento e l’onestà. Che sono caratteristiche universali e per questo riconosciute ovunque». 

 

Pinuccia Parini

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Responsabile Clienti Istituzionali Fondi&Sicav

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